Disponibile dal 15 giugno su Prime Video, Dispatches from Elsewhere era stato presentato all’ultima Berlinale 2020, su grande schermo, nel mondo ancora ignaro di ciò che sarebbe accaduto da lì a pochi giorni. La serie, che in patria (prodotta da AMC è made in USA) è andata in onda nella tradizionale fruizione di un episodio per volta, arriva negli altri Paesi, a che in Italia, sulla piattaforma di streaming che quindi permette il binge-watching e una fruizione leggermente differente, soprattutto se si considera che quasi ogni episodio si apre e si chiude con un intrigante Richard E. Grant, l’enigmatico Octavio, che parla direttamente allo spettatore, svelando e a volte deridendo i meccanismi narrativi tradizionali delle serie tv.
Dispatches from Elsewhere è ispirata ad un fatto reale
Ma andiamo con ordine. Dispatches from Elsewhere è ispirata ad un documentario del 2013, The Institute, che racconta la storia del Jejune Institute, luogo di un gioco interattivo dal vivo, una sorta di evoluzione del gioco di ruolo, che coinvolse 10000 partecipanti, reclutati attraverso volantini bizzarri. La serie è ambientata a Filadelfia e vede il citato Octavio a capo di un Istituto che recluta volontari, tramite dei volantini, per una specie di gioco sociale. Conosciamo così Peter (Jason Segel), un annoiato impiegato di un servizio di streaming che legge in questo annuncio una fuga dalla sua monotona realtà. Si imbatte così nella Elsewhere Society, che gli assegna delle prove da superare tramite indizi, e che deve affrontare insieme ad una squadra di complici, formata da un trio eterogeneo di personaggi altrettanto bizzarri: Janice (Sally Field), Simone (Eve Lindley) e Fredwynn (André Benjamin). Questa bizzarra squadra si porrà domande sulla realtà che sta vivendo, ma riuscirà a trovare anche molto di più di quello che avrebbe mai immaginato.
Dispatches from Elsewhere è ideata, scritta, interpretata e per alcuni episodi diretta da Jason Segel. Il Marshall di How I Met Your Mother dimostra una grande maturità artistica che scavalca la comicità con cui il grande pubblico lo ha conosciuto e sfodera un registro struggente e drammatico davvero intenso, che diventa il vero cuore della serie. Oltre al gioco intellettuale che si muove agilmente tra i generi e i toni, mescolando a sequenze quasi lynchane l’animazione e la rottura della quarta parete, Segel aggiunge alla storia un potentissimo nucleo emotivo che ricorda vagamente Sense8 (senza la componente fortemente erotica), nella misura in cui anche in questo caso la connessione e la comunità diventano la vera scoperta, la rivoluzione.
Un registro drammatico inedito per Segel
Segel
compie un raffinato lavoro di scrittura, realizzando anche un
perfetto quadro di inclusività e armonia, ponendolo come un dato di
fatto e dandolo per scontato, come dovrebbe essere anche nella
società civile, senza dare troppo peso, ad esempio, al fatto che
Simone è una trans, o che Fredwynn è di colore. Segel mostra le
varie umanità, complesse, articolate, sole, spaventate, e le mette
in condizione di rispecchiarsi nell’altro e di fare comunità,
attraverso un costrutto narrativo che parte come semplice gioco
intellettuale e pian piano mostra la sua vera faccia, forse meno
originale ma sicuramente emozionante e coinvolgente.
Da un punto di vista visivo, la serie viene settata con il primo episodio, diretto proprio da Jason Segel, come un’interessante esperienza che ad uno stile classico associa momenti di sperimentazione e contaminazione (frequenti sono le sequenze in animazione), specialmente dal punto di vista fotografico. Questa scelta linguistica si protrae per tutta la serie e si sposa molto bene con la sensazione di straniamento destata dal parlare direttamente allo spettatore del personaggio di Richard E. Grant.
Dispatches from Elsewhere ci chiama in causa, ci affascina e ci ingaggia come giocatori del suo esperimento sociale, ci fa mettere nei panni (nel vero senso della parola) dei protagonisti e ci fa scoprire tutti vulnerabili e desiderosi di far parte di una comunità, di un cerchio emotivo che ci comprende e ci protegge, che ci fa sentire a casa.