Tutta la luce che non vediamo: recensione della serie Netflix

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Adattameto dell’omonimo romanzo di successo di Anthony Doerr, vincitore del Premio Pulitzer, la miniserie Tutta la luce che non vediamo è diretta da Shawn Levy e scritta da Steven Knight, per Netflix e ci trasporta nella Francia occupata durante la Seconda Guerra Mondiale, offrendoci una storia che dimostra quanto il rimanere essere umani, anche nei momenti più oscuri, sia l’unica salvezza per l’uomo.

 

Tutta la luce che non vediamo, la trama

La storia è ambientata nel cuore della guerra, nell’occupata Saint-Malo, ma il suo fulcro è la storia di Marie-Laure, una giovane francese cieca, e suo padre Daniel LeBlanc, che fuggono da Parigi con un diamante leggendario per impedire che finisca nelle mani dei nazisti. Questo è solo l’inizio di una vicenda che si sviluppa nello stesso luogo ma a cavallo di epoche e ricordi, seguendo punti di vista differenti, che dovrebbero essere di nemici. La fuga di Marie e di suo padre è segnata dall’inseguimento costante di un crudele ufficiale della Gestapo, Von Rumpel, che vuole impossessarsi della pietra preziosa per scopi personali. Questo conflitto è il motore principale dell’azione che però vede in altri aspetti la sua luce migliore.

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Il cuore pulsante della storia è diviso a metà, tra la giovane Marie, che nonostante la cecità ha una volontà di ferro e un cuore puro, e Werner Pfennig, un giovane tedesco arruolato per rintracciare trasmissioni illegali, un vero e proprio genio della radio, che però cerca in tutti i modi di rimanere umano, se stesso, in un contesto che come unico scopo aveva quello di svuotare l’animo dei propri adepti. La loro connessione inaspettata è l’elemento chiave dell’intreccio, e porta alla luce il tema centrale della narrazione: la forza dei legami umani, la potenza della condivisione e la ricerca costante del bello nel mondo. Le interpretazioni delle giovani attrici Aria Mia Loberti e Nell Sutton sono effettivamente molto intense e pure, e danno spessore a un personaggio che, nonostante sulla carta debba essere l’eroina della storia, non sembra poi tanto ben strutturata in fase di scrittura.

La recensione della miniserie diretta da Shawn Levy

Il cast di attori stellari aggiunge ricchezza alla serie. Mark Ruffalo interpreta Daniel LeBlanc, catturando perfettamente l’amore e la determinazione di un padre disposto a tutto per proteggere la figlia. Hugh Laurie, nel ruolo di zio Etienne, porta un tocco di mistero e saggezza alla narrazione, mentre Louis Hofmann nel ruolo di Werner Pfennig offre una performance eccezionale, nonostante, anche qui, la debolezza della scrittura.

La miniserie è stata girata in tre spettacolari location, da Budapest a Saint-Malo a Villefranche-de-Rouergue. Le riprese dal vero effettivamente contribuiscono a una messa ius cena molto ricca e curata e aggiungono verosimiglianza a una storia che, così come è stata adattata, appare piuttosto esile e pretestuosa.

Un aspetto notevole della serie è quella capacità di catturare il pubblico promettendo continuamente lo svelamento di un segreto, una tensione sottesa che però non arriva mai alla risoluzione finale e che è sapientemente costruita anche nella divisione in episodi, che finiscono tutti con un cliffhanger, spingendo a proseguire e guardare le circa quattro ore in un solo sorso.

Tutta la luce che non vediamo è un adattamento televisivo che sembra timoroso di affondare dentro la storia, limitandosi a raccontare degli avvenimenti che, si intuisce, dovrebbero avere una grande profondità, ma che non riescono a raggiungere il cuore della narrazione. La ricerca della bellezza nel cuore della guerra, la speranza nella luce e nella salvezza nel momento più buio per l’umanità, i sentimenti più nobili che i due giovani protagonisti dovrebbero professare e rappresentare rimangono soltanto buone intenzioni in una messa in scena curata ma dal cuore freddo e superficiale.

Sommario

La ricerca della bellezza nel cuore della guerra, la speranza nella luce e nella salvezza nel momento più buio per l’umanità, i sentimenti più nobili che i due giovani protagonisti dovrebbero professare e rappresentare rimangono soltanto buone intenzioni in una messa in scena curata ma dal cuore freddo e superficiale.
Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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