The Artist: ovvero l’esaltazione dell’immagine cinematografica

The Artist

Spesso la lingua e le parole non sono un ponte di collegamento linguistico, piuttosto rappresentano un limite, e la storia della torre di Babele ne è un esempio. Questo Michel Hazanavicius l’ha intuito subito, e non solo ha cercato di riportare noi, osservatori moderni, in un passato ormai quasi dimenticato, ma ci ha dimostrato quanto la presenza di un linguaggio, inteso come idioma linguistico, possa essere un limite per l’opera.

 

The Artist è l’esaltazione dell’immagine nel suo stato più genuino e puro, film in cui il regista ha volutamente dimenticato le tecniche moderne, per regalarci emozioni uniche con un cinema riportato alle origini.

Difatti The Artist non è solo un cinema in bianco e nero, i cui colori sono provocati dalla simbiosi intrattenuta tra lo spettatore e il film, ma la sua vera unicità è costituita dall’assenza quasi totale di parole. È un film moderno, ma muto.

Il tentativo anacronistico, anche ben riuscito, descrive la realtà, nei ruggenti anni ’20, di un famoso attore George Valentin, interpretato da Jean Dujardin, che rapisce le attenzioni del suo pubblico grazie alla sua incredibile capacità espressiva. Le sue espressioni, i suoi movimenti comunicano più delle parole, esprimono messaggi non codificabili per mezzo di una lingua. Questo è il suo vantaggio, ma è anche il suo limite, in una società proiettata verso il sonoro.

Per caso, una giovane donna, Peppy Miller, interpretata da Berenice Bejo, grazie ad una comparsa in un film della star, riesce a rapire non solo le attenzioni del pubblico ma anche il cuore di George Valintin. Lei, con la sua ambizione e sicurezza, cavalca il successo e si prona alle nuove scoperte dell’epoca: il sonoro nei film.

Laddove un tempo era l’esperienza personale, la fantasia di ognuno e anche la capacità espressiva dell’attore a costruire il messaggio e disegnare mentalmente le emozioni, improvvisamente arrivano le parole, che impongono i binari interpretativi, lasciando poco spazio a divagazioni varie ed escludendo dal gruppo i non appartenenti allo stesso sistema linguistico.

I suoni e le parole sono l’ostacolo e il vincolo, ma rappresentano anche la risoluzione dei problemi. È un colpo, forte e indistinto, che genera paura e confonde le menti, a detonare la forza risolutiva che si concretizza col sonoro.

Interpretazione magistrale per Jean Dujardin, la cui mimica rapisce ogni sguardo, ma non può passare inosservato lo charme e la bellezza abbagliante di Bérénice Bejo.

Il film ha ricevuto l’etichetta dai critici di New York, NYFCC, come miglior film (Best Feature) e miglior regista (Best Director), ora però vedremo fin dove arriverà per la corsa agli Oscar.

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