Bud Spencer: il gigante buono della settima arte

Bud Spencer film

La figura del gigante risulta da sempre centrale nelle grandi narrazioni della Storia, sia nella forma dei racconti fiabeschi infantili sia nelle più complesse manifestazioni dell’ingegno umano. Ogni grande forma d’arte possiede i suoi “giganti”, e il cinema non fa eccezione, specialmente quello italiano, ricco com’è di personalità di grande ingegno ma anche di personaggi di grande “spessore” fisico entrati di diritto nell’immaginario popolare. Fra questi possenti esponenti della pop culture cinematografica nostrana non può non svettare la mole alquanto ingombrante (per massa e sostanza culturale) di Bud Spencer, il “Gigante Buono” della settima arte tricolore passato alla storia come una delle personalità più iconiche del panorama filmico nazionale degli anni ’70 e ’80, protagonista di pellicole dal gusto tanto irriverente quanto eterogeneo capaci di calcare con estrema disinvoltura alcuni dei generi più solidi e radicati quali lo spaghetti-western, il poliziottesco all’italiana e la commedia, trovandosi così nella paradossale condizione di essere da subito amato dal pubblico nazionale e internazionale ma impietosamente snobbato dalla critica ufficiale.

 

Un uomo che, ancor prima di essere attore di film “popolari” e di alcuni raffinati esperimenti d’autore, è da sempre stato un grande sportivo e amante del rischio, tanto sul set quanto nella vita reale, un uomo capace di alternare cappelli da cowboy e micidiali pugni “sonorizzati” a record olimpici e brevetti da aviatore senza apparente soluzione di continuità. Registrato all’anagrafe nel 1929 con il nome ben più nostrano di Carlo Pedersoli, il giovane futuro Bud muove i sui primi passi sul suolo napoletano eccellendo negli studi e appassionandosi ben presto – proprio grazie al suo percorso accademico – allo sport e dimostrando una particolare attitudine per il nuoto. Dopo essersi trasferito a Roma per frequentare i corsi universitari di chimica non ancora diciottenne, il già fisicamente dotato ragazzo dal cervello fino e dalla possente mole atletica è costretto a trasferirsi per un breve periodo in Brasile con la famiglia, tornando poi alla fine degli anni ’40 in patria per essere ingaggiato stabilmente dalla S.S Lazio Nuoto con la quale conquista alcuni ottimi risultati nazionali e internazionali,  tra cui il record come primo italiano a essere sceso sotto il limite del minuto netto nei cento metri stile libero durante i campionati europei di Vienna e ben due medaglie d’argento durante i Giochi del Mediterraneo di Alessandria del 1951.

Bud Spencer nuoto

Nel mentre in cui porta avanti la propria carriera di nuotatore, pallanuotista e seconda linea di rugby, Carlo viene notato ben presto nel settore cinematografico quando, proprio grazie al suo fisico possente, viene ingaggiato nel ruolo di un legionario romano per il mitico “peplum della rinascita” Quo Vadis? (1951) di Mervyn LeRory, considerato da molti come una delle pellicole simbolo del risorgimento di Cinecittà e della produzione italiana del secondo dopoguerra. Grazie a questa prima comparsata il futuro “Gigante Buono” – come verrà in seguito soprannominato a causa dei ruoli da macchina tirapugni sempre dedita alla conservazione del bene e della giustizia – continua a partecipare occasionalmente a moltissime pellicole di generi e spessore differenti, sempre in qualità di comprimario o semplice comparsa, fino a quando nel 1955 ottiene un primo accenno di visibilità grazie a Un eroe dei nostri tempi diretto da Mario Monicelli in cui interpreta il ruolo del manesco energumeno Nando accanto a un quasi esordiente Alberto Sordi. In realtà un primo assaggio di capacità attoriale in un ruolo un poco più sostanzioso era già stato possibile l’anno precedente con il militaresco Siluri Umani, film bellico dedicato alle battaglie marine del secondo conflitto mondiale diretto da Antonio Leonviola in cui Pedersoli figura accanto a celebri personaggi del calibro di Raf Vallone ed Enrico Maria Salerno.

Bud Spencer BambinoGli anni ’50 continuano ad essere un periodo di grandi soddisfazioni tanto a livello cinematografico quanto sportivo, grazie alla partecipazione alle Olimpiadi di Helsinki del 1952 come centometrista stile libero e la medaglia d’oro con la nazionale italiana di pallanuoto nei Giochi del Mediterraneo di Barcellona del 1955. Nella seconda metà del decennio decide di dare una radicale svolta alla propria vita privata e professionale, trasferendosi nuovamente in Sud America e lavorando come manovale nella costruzione dell’autostrada Panamá-Buenos Aires e all’Alfa Romeo di Caracas, tornando poi definitivamente in Italia in tempo per partecipare alle Olimpiadi di Roma del 1960 e sposare Maria Amato, figlia del celebre produttore e proprietario di sale cinematografiche Giuseppe “Peppino” Amato. Nello stesso periodo Pedersoli firma un breve contratto con la RCA Italia per la realizzazione di alcuni testi musicali e addirittura colonne sonore per il cinema e la televisione, contratto che scade nel 1964 costringendolo a prendere in seria considerazione l’idea di tornare davanti alla macchina da presa.

Tale occasione gli viene offerta nel 1967 dal regista e produttore Giuseppe Colizzi, il quale, dopo alcuni iniziali diverbi, decide di assoldare Pedersoli al fianco di un altro giovane e per il momento sconosciuto attore italiano proveniente dalle comparsate, un certo Mario Girotti (in futuro ben più noto come Terence Hill), dando vita a quel piccolo miracolo dello spaghetti-western che sarà Dio perdona… io no!, prima pellicola in cui compare la futura coppia di giustizieri tirapugni destinata in brevissimo tempo a entrare di diritto nell’immaginario cinematografico popolare (inter)nazionale. In occasione della presentazione fuori confine la produzione chiede ai due attori di utilizzare a uno pseudonimo anglofono da sostituire ai propri nomi per rendere il film molto più facile da esportare e senza il rischio di essere etichettato come “filmaccio all’italiana”, seguendo una consuetudine molto in voga all’epoca per tutto un certo cinema di genere. Nasce così il duo Bud Spencer – nome scelto unendo la figura di Spencer Tracy con il marchio della birra “Bud” Budweiser – e Terrence Hill, protagonisti indiscussi e amatissimi di oltre diciotto pellicole di cui ben sedici come protagonisti, senza sapere in realtà che già nel 1959 entrambi, ancora con i propri nominativi originali, avevano partecipato senza mai incontrarsi direttamente allo storico Annibale di C.L. Bragaglia e Edgar G. Ulmer.

Fra i titoli più rappresentativi di tale collaborazione figurano moltissimi western e pseudo-western dal sapore ibrido fra azione pura e grottesco scanzonato tra cui Lo chiamavano Trinità… (1970) di Enzo Barboni (in cui Spencer interpreta il celeberrimo sceriffo soprannominato “Bambino”) e il sequel …continuavano a chiamarlo Trinità sempre di Barboni che consacra la coppia in terra straniera, spaziando poi in parodie del poliziottesco e dell’action come …più forte ragazzi (1972) di Colizzi, …altrimenti ci arrabbiamo! (1974) di Marcello Fondato, l’insuperabile I due superpiedi quasi piatti (1977) – bissato nel 1985 con Miami Supercops – I poliziotti dell’8ª strada – e il notevole Io sto con gli ippopotami (1979) di Italo Zingaretti, transitando poi nella commedia pura grazie a Pari e dispari (1978) di Sergio Corbucci e concludendo il proprio sodalizio professionale con il nostalgico e autocelebrativo Botte di Natale (1994) diretto dallo stesso Hill.Bud Spencer Terence Hill

Gli anni ’70 e ’80 costituiscono per Bud Spencer un periodo di affermazione e consolidamento del proprio ruolo di possente e manesco giustiziere (e rare volte anche di malfattore) dedito a combattere il crime e a far trionfare la giustizia, così come si evince ben presto dalla fortunatissima tetralogia action-thriller nostrana di Piedone lo sbirro in cui impersona l’iconico Commissario Rizzo detto “Piedone” con in dotazione i propri pugni come unica arma di offesa e difesa, una serie cinematografica amatissima dal pubblico (e molto meno dalla critica) inaugurata da Steno nel 1973 e proseguita con Piedone a Hong Kong (1975), l’altisonante Piedone l’Africano (1978) e il ben più avventuroso Piedone d’Egitto (1980).

Oltre a questi prodotti dichiaratamente pensati per favorire il carisma e la presenza scenica dal forte carattere identitario guadagnati grazie alla fortunata accoppiata con Hill e proseguiti in solitaria con eccellenti esperienza come il crepuscolare Occhio alla penna (1981) di Michele Lupo, la carriera filmica di Spencer può vantare anche partecipazioni ben più illustri e autoriali passate purtroppo spesso inosservate, come ad esempio il poliziottesco di denuncia Torino nera (1972) di Carlo Lizzani in cui impersona con spietato realismo il ruolo di un muratore integerrimo accusato ingiustamente di un omicidio, la massiccia presenza fisica nei panni del surreale pescatore Diomede (detto “Dio”) in 4 mosche di velluto grigio (1971) diretto da un giovanissimo Dario Argento, senza poi scordare il ruolo del narratore-demiurgo nella metatestuale e coraggiosa epopea storica in terra cinese di Cantando dietro i paraventi (2004) di Ermanno Olmi. Sopra ognuno di questi titoli svetta però Anche gli angeli mangiano fagioli (1973) diretto da Barboni e considerato all’unanimità se non il capolavoro di Pedersoli/Spencer quantomeno la sua pellicola più incisiva e illuminante, laddove il ruolo del wrestler mascherato Charlie Smith alias “L’Uomo del Mistero” permette al possente attore napoletano di regalare alla storia del cinema italiano una delle sue presenze più surreali e al contempo fulminanti, complice una miscela di commedia, finto poliziesco e azione grottesca che ne fanno uno dei cult più apprezzati di sempre.

La fine degli anni ’80 e i primi del nuovo decennio coincidono con un principio di declino di popolarità fra il pubblico dei più giovani, i quali vengono comunque iniziati dai propri genitori e fratelli maggiori ai fasti passati del Gigante nerobarbuto del cinema italiano, un’ancora ingombrante presenza che continua ad affollare il piccolo schermo con alcune serie di grande successo come Big Man (1988), Detective Extralarge (1991-1993) e Noi siamo angeli (1997), venendo addirittura coinvolto in celebri progetti televisivi internazionali tra i quali gli spagnoli Al limite (1997) e I figli del vento (1999), l’australiano Tre per sempre (2002) e la stramba esperienza tedesca di Tesoro, sono un killer (2009).

Dopo aver calcato per l’ultima volta il palcoscenico cinematografico in una breve comparsata in Fuochi d’artificio (1997) di Pieraccioni, Bud conclude la sua carriera proprio nel formato seriale come protagonista del film televisivo Padre speranza (2001) (in realtà pilot di una serie mai portata a termine per Rai2) e nel simpatico progetto pseudo-giallo di Canale 5 I delitti del cuoco (2010), lo stesso anno in cui, assieme all’amico e compagno di merende e cazzotti Terrence Hill, riceve il David di Donatello alla carriera, unico riconoscimento ufficiale a certificare se non la propria qualità recitativa – sulla quale ci sarebbe da compiere una poderosa rivalutazione – quantomeno il grande contribuito all’immaginario popolare cinematografico di ben due generazioni.

Bud Spencer

Se n’è andato in sordina il Gigante Buono del cinema italiano, lontano dai riflettori che tanto ne hanno plasmato la possente corporatura e reso una presenza rassicurante e bonaria per grandi e piccini, ed è così che a noi piace ricordarlo, proprio come uno dei suoi tanti pistoleri (quasi mai) solitari che, senza armi e neppure una goccia di sangue sapevano far trionfare la giustizia come autentici eroi dei fumetti, con un sonoro ceffone e un micidiale SBAM! Chissà se ora il vecchio Bud è in Paradiso a gustarsi (questa volta per davvero) una scodella di fagioli in compagnia degli angeli!

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