Don’t look at the Demon: la spiegazione del finale del film

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Il regista malese Brando Lee, al suo esordio nel lungometraggio, porta sullo schermo Don’t Look at the Demon (2022), un horror che unisce suggestioni occidentali e credenze spirituali radicate nella cultura del Sud-Est asiatico. Cresciuto alla periferia di Kuala Lumpur con una formazione cinematografica influenzata da classici americani come Shining e L’esorcista, Lee ha dichiarato di voler fondere le proprie radici con gli stilemi più riconoscibili dell’horror hollywoodiano, dando vita a un film che mescola possessioni, case infestate e traumi irrisolti.

All’interno della cinematografia malese, ancora poco conosciuta a livello internazionale, Don’t Look at the Demon rappresenta un esperimento importante. È uno dei primi film horror locali ad avere una distribuzione significativa fuori dai confini nazionali e a contare su un cast internazionale, con interpreti come Fiona Dourif. In questo senso, il film si colloca come ponte tra due mondi: da un lato la tradizione malese, che porta in dote rituali, simboli e riferimenti esoterici; dall’altro l’immaginario occidentale che predilige atmosfere cupe, jumpscare e dinamiche narrative di gruppo.

Il risultato è un horror che può ricordare film come L’evocazione – The Conjuring per l’uso di un’indagine paranormale al centro del racconto, ma che richiama anche suggestioni di titoli asiatici come Shutter o The Eye, per il legame con le credenze spirituali locali. In questa fusione si nasconde il tratto distintivo dell’opera: non un semplice esercizio di stile, ma un tentativo di creare un linguaggio universale dell’orrore. Nel resto dell’articolo cercheremo di capire come tutto questo confluisca nel finale del film e quale sia il suo significato più profondo.

Don't Look at the Demon cast

La trama di Don’t look at the Demon

Guidata da Jules, una medium tormentata, una troupe televisiva americana di investigatori del paranormale si reca a casa di una coppia che sostiene di aver vissuto inquietanti e minacciosi disturbi inspiegabili. All’inizio, le affermazioni della coppia sembrano dubbie e la squadra investigativa sospetta che i due possano essere solo alla ricerca di pubblicità, ma Jules presto vive una sua terrificante esperienza nel seminterrato, portandoli a credere che ci sia qualcosa di più di quanto sembri.  Man mano che la squadra approfondisce il mistero, incontra possessioni e apparizioni più terrificanti di quanto abbia mai visto. Nella vecchia casa vengono scoperte stanze segrete.

Ancora più oscuri segreti vengono alla luce nella storia della casa, legati a un antico rituale thailandese proibito, bambini nati morti, spiriti femminili inquieti e una violenta forza soprannaturale che minaccia di distruggere tutti coloro che entrano in contatto con essa. La loro unica speranza è dunque Jules. Lei però rifiuta di affrontare la situazione, traumatizzata da quando il suo primo incontro soprannaturale ha causato la morte di sua sorella. Ma il suo oscuro passato, se riuscirà a svelarlo, potrebbe essere l’unica speranza per fermare il demone prima che sia troppo tardi.

La spiegazione del finale del film

Il film di Brando Lee si chiude con un epilogo cupo e inaspettato. Alla fine, Jules, la medium interpretata da Fiona Dourif, finisce per eliminare tutti i membri del gruppo, tranne una ragazza protetta da un tatuaggio rituale, elemento che la salva dalla possessione. Già in passato, come si scopre, era stata lei stessa – vittima di possessione – ad uccidere sua sorella. Per “gestire” quel ricordo traumatico il demone le aveva però fatto credere che la sorella fosse morta in quanto era lei ad essere stata posseduta. Così, per la seconda volta, la protagonista è ormai completamente dominata da forze oscure e ha irrimediabilmente perso il controllo delle proprie azioni.

Don't Look at the Demon film 2022

Molti spettatori hanno però discusso il finale online, sottolineando come resti volutamente ambiguo. Alcuni ritengono che Jules sia stata davvero posseduta da un’entità demoniaca, altri che il film voglia suggerire un crollo psicologico dovuto a traumi e ossessioni. L’elemento del tatuaggio rituale è stato poi letto come un legame con le tradizioni malesi, a dimostrazione che la conoscenza delle credenze spirituali locali può fare la differenza tra vita e morte. Come ha affermato il regista Brando Lee a proposito del film, “in tutte le mie attività c’è uno Ying e uno Yang. Credo che il mondo debba avere il Bene e il Male, sia gli Angeli che gli esseri Malvagi”.

In sostanza, si tratta di mantenere l’equilibrio dell’Universo. Incuriosito dalle esperienze che ho vissuto, ho iniziato a esplorare il mondo che ci circonda”, ha aggiunto. Se si accetta la lettura più diffusa — ovvero Jules come strumento inconsapevole del male — allora il film mette in scena il trionfo dell’oscurità e la fragilità umana di fronte all’inspiegabile. La tragedia dell’uccisione della sorella diventa così il punto più estremo della perdita di controllo, mostrando come le forze oscure possano infrangere perfino i legami più intimi.

Cosa ci lascia il film Don’t Look at the Demon

Brando Lee, fondendo cliché hollywoodiani e credenze spirituali malesi, costruisce un horror ibrido che vive di ambivalenze. Non c’è una vera catarsi: solo un senso di inquietudine persistente e il dubbio su cosa sia reale e cosa no. Don’t Look at the Demon lascia quindi allo spettatore la riflessione che, davanti al male, la comprensione delle proprie radici culturali e spirituali può diventare l’unico argine alla distruzione.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
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