Dracula: la storia vera dietro al mito di Bram Stoker

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Dietro le ombre dei castelli, il fruscio dei mantelli e i denti affilati del vampiro più famoso del mondo, si nasconde una figura reale, inquietante e affascinante: Vlad III di Valacchia, passato alla storia come Vlad l’Impalatore. Quando nel 1897 Bram Stoker pubblicò Dracula, non inventò solo un personaggio letterario immortale, ma costruì un archetipo moderno del male, intrecciando leggende popolari, cronache storiche e ossessioni dell’epoca vittoriana.

Quello di Stoker è un romanzo che parla di paura e desiderio, di scienza e superstizione, ma il suo cuore più oscuro nasce da una storia vera.

Vlad l’Impalatore: il principe del sangue

Vlad III nacque intorno al 1431 a Sighișoara, in Transilvania, una regione di confine tra l’Europa cristiana e l’Impero Ottomano. Suo padre, Vlad II Dracul, apparteneva all’Ordine del Drago, una confraternita di cavalieri fondata per difendere la fede cristiana dai turchi. Il soprannome “Dracul” derivava proprio dal simbolo dell’ordine – un drago – ma nel linguaggio locale finì per assumere anche il significato di “diavolo”.

Vlad, dunque, era letteralmente figlio del drago o, come si sarebbe detto in latino, Dracula. Da giovane fu tenuto in ostaggio presso la corte ottomana, dove apprese strategie militari e metodi di tortura. Tornato in patria, salì al trono di Valacchia nel 1456, deciso a difendere il proprio territorio con un’autorità spietata.

La sua fama nacque proprio da questo: Vlad era noto per impalare i nemici – turchi, traditori, criminali – infilzandoli su pali di legno e lasciandoli morire lentamente. Le cronache raccontano di foreste di corpi, di banchetti tenuti accanto ai condannati agonizzanti, di migliaia di vittime. Molti resoconti erano probabilmente esagerati o manipolati dalla propaganda tedesca e ungherese, ma bastarono a trasformarlo in una leggenda nera.

Gary Oldman in Dracula di Bram Stoker (1992)
Foto di American Zoetrope – © 1992

Dalla storia all’immaginario gotico

Quando Bram Stoker scrisse Dracula, più di quattro secoli dopo, non aveva mai visitato la Transilvania. Lavorava come manager del Lyceum Theatre di Londra e frequentava intellettuali, attori e scienziati del suo tempo. Tuttavia, era un uomo profondamente incuriosito dalle tradizioni popolari e dai misteri dell’Europa orientale.

Secondo gli studi più recenti, Stoker scoprì la figura di Vlad III leggendo i saggi dello storico ungherese Ármin Vámbéry, che descriveva il principe valacco come un sovrano crudele e sanguinario. In una sua nota personale, lo scrittore avrebbe trascritto il nome “Dracula” accanto alla parola “devil”. Quel riferimento bastò per accendere la scintilla: il diavolo, il sangue, il castello.

Ma Dracula non è una semplice biografia romanzata. Stoker mescolò il mito di Vlad con leggende slave e balcaniche sui morti che ritornano — gli strigoi e i nosferatu — e con le paure dell’Inghilterra vittoriana: l’invasione straniera, la sessualità femminile, la degenerazione morale.

Il vampiro come riflesso dell’epoca vittoriana

Dracula di Bram Stoker (1992)
Foto di American Zoetrope – © 1992

Il romanzo di Stoker fu pubblicato nel 1897, in un momento di grandi trasformazioni. L’Impero britannico era al culmine della sua espansione, ma il progresso scientifico e la rivoluzione industriale avevano alimentato nuove ansie sociali.

Il vampiro di Stoker incarna proprio queste contraddizioni: è un aristocratico straniero che arriva a Londra portando con sé la peste e la corruzione morale, un essere che seduce e contagia. Dietro la maschera gotica si nasconde la paura coloniale e sessuale dell’Occidente: il timore che ciò che è “altro” — l’Oriente, la donna emancipata, l’istinto — possa contaminare la civiltà.

In questo senso, la figura di Vlad l’Impalatore offre il punto d’origine storico, ma è il contesto sociale di fine Ottocento a dare a Dracula la sua forza simbolica.

Le fonti che alimentarono il mito

Keanu Reeves e Gary Oldman in Dracula di Bram Stoker (1992)

Oltre a Vlad, Stoker si ispirò a numerose leggende popolari europee. In Romania, Serbia e Grecia erano diffuse storie di morti che si alzavano dalle tombe per succhiare il sangue dei vivi. Nella Londra vittoriana circolavano anche cronache giornalistiche su casi di sepolture premature e malattie misteriose che svuotavano le persone del loro sangue.

Un’altra influenza importante fu il romanzo Carmilla di Sheridan Le Fanu (1872), incentrato su una vampira femminile dal fascino ambiguo. Stoker ne riprese l’erotismo sottile e lo trasferì nella figura di Dracula, il cui morso è insieme violento e seduttivo.

Infine, alcune teorie suggeriscono che l’autore si ispirò anche alla sifilide — malattia che all’epoca terrorizzava la società — come metafora del contagio vampirico. Il sangue, la trasmissione, la vergogna: tutto contribuiva a costruire un mostro tanto fisico quanto psicologico.

Il castello, il sangue e la memoria del potere

L’immagine del castello di Dracula, isolato tra le montagne della Transilvania, richiama la realtà storica delle fortezze valacche del XV secolo. Vlad III aveva effettivamente una roccaforte nei Carpazi, il castello di Poenari, arroccato su un dirupo e accessibile solo tramite centinaia di gradini.

Quel luogo divenne nei secoli oggetto di leggende e superstizioni, e Stoker lo trasformò nella perfetta scenografia del suo racconto: simbolo del potere maschile e del desiderio di controllo. Il sangue, che per Vlad rappresentava la punizione, per Dracula diventa sopravvivenza. In entrambi i casi, è il segno della forza che si nutre della vita altrui.

Dal romanzo alla leggenda moderna

Dopo la pubblicazione, Dracula ebbe un successo immediato, soprattutto grazie alle sue trasposizioni teatrali e cinematografiche. Il film Nosferatu di F.W. Murnau (1922) ne offrì la prima versione espressionista, mentre Dracula di Tod Browning (1931), con Bela Lugosi, ne fissò l’immagine definitiva: elegante, pallido, ipnotico.

Nel corso del Novecento, il vampiro è diventato una metafora universale: dall’aristocratico decadente al ribelle romantico, dal mostro politico all’emblema del desiderio represso. Tuttavia, dietro ogni reincarnazione, sopravvive il volto di Vlad l’Impalatore e la sua ossessione per il controllo, la punizione e il sangue come strumento di potere.

Bram Stoker e la linea tra realtà e leggenda

Bram Stoker non conobbe mai la Transilvania, ma comprese che ogni mito nasce dall’incontro tra verità e paura. Dracula è il prodotto di un’epoca che aveva smesso di credere nei demoni e cominciava a temere l’uomo stesso.

Il personaggio di Vlad gli offrì un punto di partenza realistico — un tiranno realmente esistito, documentato dalle cronache — ma il romanzo trasformò quella violenza storica in una condizione eterna. Il vampiro non è più un principe di Valacchia: è il simbolo dell’umanità che consuma sé stessa pur di non morire.

La storia vera di un mito immortale

La leggenda di Dracula è la dimostrazione di come la realtà e la fantasia si alimentino a vicenda. Bram Stoker trovò in Vlad l’Impalatore la materia prima del suo incubo, ma ciò che rese Dracula immortale fu la sua capacità di incarnare le paure collettive del suo tempo — paure che continuano a mutare e a rispecchiarci.

Il principe valacco, il vampiro ottocentesco, l’icona cinematografica e il simbolo erotico contemporaneo sono volti diversi della stessa idea: il potere della vita sull’altro, la seduzione del male, la fuga dalla morte.

Dietro il mito di Dracula c’è dunque un uomo reale, ma soprattutto un pensiero che attraversa i secoli: la convinzione che dentro ogni essere umano esista un desiderio oscuro di dominio, e che per quanto lo neghiamo, prima o poi, torna a reclamare il suo sangue.

Dal romanzo alla leggenda moderna: dal mito letterario a Coppola e Besson

Dopo la pubblicazione, Dracula ebbe un successo immediato, soprattutto grazie alle sue trasposizioni teatrali e cinematografiche. Il mito del vampiro si è trasformato e reinventato più volte nel corso del Novecento, fino a diventare una figura centrale della cultura pop.

La prima interpretazione memorabile fu quella di Bela Lugosi nel Dracula del 1931 diretto da Tod Browning, che definì per sempre l’immaginario del vampiro aristocratico, elegante e inquietante. Ma è con Bram Stoker’s Dracula di Francis Ford Coppola (1992) che il personaggio raggiunse una nuova complessità romantica e visiva. Nel film con Gary Oldman, Winona Ryder e Anthony Hopkins, la figura del Conte diventa tragedia d’amore, un’anima dannata che sfida il tempo per ricongiungersi con la donna amata. Coppola recupera la sensualità e il misticismo del romanzo, trasformandolo in un’epopea barocca sul desiderio e la redenzione.

Più di recente, anche Luc Besson ha ripreso il mito nel suo Dracula. L’amore perduto, una rivisitazione moderna e psicologica che intreccia il fascino gotico con l’introspezione del regista francese. In questa versione, il vampiro non è soltanto un mostro, ma una figura tragica, simbolo dell’eterna lotta tra passione e dannazione. Besson, come Coppola trent’anni prima, indaga l’umanità nascosta dietro la maschera del male, rendendo il mito di Dracula di nuovo attuale.

Queste trasposizioni, insieme a classici come Nosferatu di F.W. Murnau (1922) e Shadow of the Vampire di E. Elias Merhige (2000), dimostrano come ogni epoca riscriva il personaggio secondo le proprie paure e i propri desideri. Il Dracula di Stoker non smette di mutare forma perché incarna un’idea universale: la sete di immortalità e di potere che attraversa l’uomo in ogni tempo.

Redazione
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