Il processo di Norimberga: giustizia, memoria e interrogativi sull’umano

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L’imminente uscita del nuovo film Norimberga (dal 18 dicembre in sala con Eagle Pictures), interpretato da Russell Crowe, riporta all’attenzione del pubblico uno dei momenti più cruciali del Novecento: il processo che mise per la prima volta davanti a un tribunale internazionale i principali responsabili dei crimini nazisti. La pellicola, che intreccia la vicenda storica con un forte approfondimento psicologico, offre l’occasione per tornare a riflettere su ciò che Norimberga rappresentò per il mondo e sul significato che continua ad avere oggi.

Il processo, inaugurato nel novembre 1945, segnò una svolta senza precedenti nella storia del diritto e della coscienza morale globale. Dopo la resa della Germania, gli Alleati si trovarono di fronte alla necessità di giudicare crimini che sfuggivano a qualsiasi misura: il genocidio di milioni di ebrei, lo sterminio di oppositori politici, persone con disabilità e gruppi considerati “indesiderabili”, la devastazione di intere nazioni. L’arresto di Hermann Göring, figura di vertice del regime, rese evidente l’urgenza di definire non solo una pena adeguata, ma anche la cornice etica e giuridica con cui affrontare il male assoluto.

Il film Norimberga riprende, la relazione tra Göring e lo psichiatra americano Douglas Kelley, incaricato di valutarne le condizioni mentali. Questa interazione diventa una lente attraverso cui osservare un punto fondamentale: molti dei leader nazisti non apparivano come mostri nati da una psicologia totalmente aliena, ma come individui capaci di razionalità, disciplina e perfino cordialità. Göring, nella prospettiva di Kelley, incarna un narcisismo estremo più che un’ideologia coerente: un uomo convinto di rappresentare in sé la grandezza del Reich, orgoglioso della propria intelligenza e certo di poter manipolare chiunque.

La banalità del male in Norimberga

Questa intuizione—che il male nazista abbia radici in vizi comuni, come l’orgoglio e il desiderio di dominio—colpisce per la sua potenza. Il processo di Norimberga, infatti, non servì esclusivamente a condannare i colpevoli, ma anche a smontare una narrazione consolatoria: quella secondo cui il nazismo sarebbe stato un fenomeno irripetibile, frutto di circostanze uniche. Guardando ai volti e alle parole degli imputati, molti si trovarono costretti ad ammettere che la brutalità non nasce da individui totalmente disumani, ma dal cedimento di strutture morali e istituzionali che possono incrinarsi ovunque.

Il concetto di genocidio, formulato proprio in quegli anni, esprime la necessità di riconoscere pattern ricorrenti nella violenza collettiva. Purtroppo, il mondo ha dimostrato più volte che la distruzione sistematica di un popolo non è un’esclusiva del Terzo Reich. Ruanda, Cambogia, Bosnia, Gaza: la storia recente conferma che l’orrore non appartiene a un unico tempo o luogo.

Russell Crowe e Rami Malek a Norimberga (2025)
Cortesia di © Eagle Pictures

Uno degli aspetti più rivoluzionari del processo fu l’uso di prove visive. I filmati girati durante la liberazione dei campi di concentramento furono proiettati in aula, costringendo imputati, giudici e osservatori a confrontarsi con immagini inconfutabili. Quelle riprese, che il nuovo film ripropone in parte, contribuirono a fissare nella memoria collettiva ciò che altrimenti alcuni avrebbero potuto negare o minimizzare.

In un momento significativo del film, un giovane sergente, inizialmente assetato di giustizia e desideroso di vedere l’umiliazione dei nazisti, si ritrova invece a compiere un gesto di sorprendente umanità. Quando uno dei condannati crolla, incapace persino di vestirsi prima dell’esecuzione, il sergente lo aiuta e lo accompagna fino al patibolo, pronunciando le semplici parole: “Sono tedesco anch’io.” Quel gesto non assolve il colpevole, ma ricorda che la dignità umana non può essere negata neppure al peggior criminale.

Un esercizio collettivo di memoria e responsabilità

Il processo di Norimberga non fu soltanto un momento di giustizia, ma un esercizio collettivo di memoria e responsabilità. Esso ci insegna che il male, anche nella sua forma più estrema, nasce da dinamiche umane riconoscibili. Per questo ricordare Norimberga significa, oggi più che mai, vigilare contro ogni forma di disumanizzazione e mantenere viva la consapevolezza che la storia può ripetersi se non la affrontiamo con verità, coraggio e umiltà.

Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice e Direttore Responsabile di Cinefilos.it dal 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.
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