L’esperienza sensoriale di Dario Argento

Dario Argento
Foto di Aurora Leone

Discorrere di Dario Argento è difficile se non si applica un parallelismo diretto con la sua vita e le sue influenze giovanili. Figlio d’arte, Dario nasce a Roma nel 1940 da Salvatore Argento, famoso produttore cinematografico, e Elda Luxardo, fotografa brasiliana. La propensione artistica cinematografica gli fu involontariamente imposta da due genitori che di pellicole e shot ne masticavano e se ne intendevano.

 

Questa base artistica fu implementata da una dedizione passionale verso l’arte fantastica e surrealista i cui rappresentanti principali sono da individuare in Alfred Hitchcock, Walt Disney, F.W. Murnau, Fritz Lang, le opere letterarie di Edgar Alla Poe, e gli scritti alienanti di Thomas De Quincy. Successivamente, nelle sue opere cominciarono ad apparire le chiare impronte dello stile del padre e del fratello Claudio, che produsse alcune delle sue opere. Il successo per Dario Argento non si fece attendere e subito la critica riconobbe in lui un talento particolare, tale da definire le sue opere un cult. Fama e successo lo avvolsero, ma anche critiche spietate e taglienti. Il suo tocco si caratterizza per una forte enfasi dedicata alla visualità, in cui stili diversi si mescolano, alterando gli schemi tradizionali imposti dal gusto del cinema. Egli utilizza la macchina da presa in maniera diversa ed elaborata, associandola ad effetti di luce e musicali che rappresentano la vera quintessenza del suo lavoro e il background perfetto per le scene di violenza sessuale.

Non è un caso se lo si considera il maestro europeo del concetto di macabro, in cui le immagini di violenza raggiungono il limite estremo della loro capacità espressiva. La sua carriera cinematografica inizia come osservatore e critico cinematografico per la testata romana Paese Sera e fu solo dopo, intorno agli anni ‘60, che si dedicò alla scrittura di sceneggiature di film western: Une Corde un colt (1969) e Commandos (1968), ma contribuì anche alla sceneggiatura di Sergio Leone di C’era una volta il West (1968) che gli permise di conoscere Goffredo Lombardo e produrre, quindi, il suo primo film L’Uccello dalle Piume di Cristallo (1970).

Nonostante l’etichetta horror che solitamente si attribuisce a quest’opera, essa nasce come un giallo in cui Argento narra le vicissitudini di un uomo, che inaspettatamente assiste ad una violenza e gli viene attribuita la colpa. Dalmas, il personaggio principale, per dimostrare la sua innocenza deve andare contro le leggi, e trovare da sé la strada verso la verità. Una verità inaspettata in cui la vittima si tramuta in carnefice. Lo stile adoperato dal regista sorprende gli spettatori, i quali applicando il metodo tradizionale di ricostruzione dei fatti, si trovano spiazzati nel ricondurre tutti gli indizi (solitamente associati ad una perversità e instabilità mentale maschile) nella figura di una donna. La confusione logica di ricostruzione degli eventi dei crimini sessuali generata negli spettatori sarà una caratteristica pregnante di molte sue opere, in cui la fine e la risoluzione di un dramma sconvolgerà la tradizionale analisi effettiva delle situazioni.

Il suo secondo film è Il Gatto a Nove Code (1971), considerato anche la sua seconda opera della trilogia degli “animali”, a causa della presenza nel titolo o nello svolgersi dei fatti di un animale. A differenza della prima opera, le due successive Il Gatto a Nove Code e Quattro Mosche di Velluto Grigio ricevettero critiche negative riguardo lo stile detective di cui fa uso il regista. Secondo la critica, Argento mise da parte il metodo razionale e deduttivo per dedicarsi interamente ad una visione eccessivamente libera e fantasiosa dei fatti.

Lo stile di Dario Argento risente a pieno dell’influenza dell’industria italiana, in cui l’enfasi costante sul genere si mescola ad un’attitudine più cerebrale, dominata da una visione critica e intellettuale dell’opera. La combinazione di elementi intellettuali con slanci istintivi è una caratteristica tipica dello stile italiano del dopoguerra, in cui si cerca di soddisfare le richieste di un audience sofisticato e le pretese di una popolazione più semplice e pragmatica e quindi ottenere, anche, un buon ritorno economico. Le tecniche che permisero di ampliare il suo range di pubblico, riuscendo a soddisfare le richieste più disparate, sono da ricondurre alla presenza di una descrizione politica o psicoanalitica unite a scoppi irrazionali di risa, suspence, eccitazione e violenza.

Se Profondo Rosso (1975) si caratterizza per la presenza di elementi sovrannaturali, questi aspetti troveranno la loro massima espressione con Suspiria (1977). Film di grande successo, Suspiria esprime in pieno l’evoluzione di Argento, passando dal filone del Giallo a quello di Horror, pur trattenendo nella sua essenza alcune caratteristiche di base. Un chiaro esempio ci viene fornito dalla contrapposizione tra uomini e donne, i primi con caratteri deboli e inutili le seconde aggressive e dominanti. Ciò che fa di questo film la pietra miliare dello stile di Argento è la tecnica impiegata per la narrazione delle scene. E’ proprio qui che il regista esprime in pieno il suo stile surreale con riprese che, disorientando lo spettatore, spostano l’osservazione su giochi di luce e di suoni che saranno in seguito il suo tratto caratteristico, nonché il valore aggiunto all’opera. Emblematica è la scena degli omicidi iniziali in cui il progredire drammatico dei fatti è in maniera crescente accompagnato da un carico di colori e da una colonna sonora incalzante e nevrotica.

Le sue opere successive non smentiranno la sua propensione verso l’esaltazione assoluta dei sensi, tramite l’utilizzo di luci- colori- suoni anche se conserveranno sempre quei tratti caratteristici della sua fase iniziale del periodo “giallo”.

- Pubblicità -