Profondo Rosso: 40 anni di un mito firmato Dario Argento

Profondo Rosso film

Era infatti il 7 marzo del 1975 quando nei cinema approdò Profondo Rosso, quinto lungometraggio dell’allora trentacinquenne Dario Argento, regista italiano dalla rapida e folgorante carriera che nel giro di appena cinque anni dal suo esordio era di fatto riuscito ad affermarsi come una delle più originali e talentuose figure nel panorama della settima arte, in patria quanto all’estero.

 

Profondo Rosso, la trama

All’interno di un sontuoso teatro nel quale si sta svolgendo un convegno di parapsicologia, una medium avverte la presenza inquietante di un assassino celato fra il pubblico. Tornata nel suo appartamento la donna viene brutalmente uccisa a colpi di mannaia da un misterioso killer vestito di nero, finendo trafitta dalle schegge di una finestra rotta, mentre tutto si tinge del rosso livido del suo sangue. Tutti coloro che si interessano un minimo di cinema di genere, ma sicuramente anche coloro che non sono cinefili incalliti non potranno non avvertire un gelido e familiare campanello d’allarme nel leggere di sfuggita questa sintetica descrizione delle scene d’apertura di una delle pellicole che, alla metà degli anni ’70 del secolo scorso, contribuì a cambiare definitivamente i connotati del cinema horror, aprendo nuovi orizzonti all’arte di provocare la pelle d’oca attraverso le immagini.

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Prima del mito

Figlio del produttore cinematografico Salvatore Argento e già precoce e scapestrato critico cinematografico, Dario Argento diviene presto co-autore di numerosi soggetti e sceneggiature tra cui Cimitero senza croci (1968) di Robert Hossein, Scusi, lei è favorevole o contrario? (1966) di Alberto Sordi e del celeberrimo C’era una volta il West (1968) diretto da Sergio Leone e scritto assieme a Bernardo Bertolucci, prima di approdare alla regia nel 1970 con lo sconvolgente L’uccello dalle piume di cristallo, prima pellicola di una ideale “trilogia degli animali” proseguita con Il gatto a nove code (1971) e terminata con Quattro mosche di velluto grigio (1971). Con questi primi tre film Argento riuscì nell’intento di traghettare i generi del mystery e del giallo all’italiana, già sapientemente ammaestrati da autori come Mario Bava e Sergio Martino, verso una dimensione del tutto nuova, caratterizzata da trame sempre più complesse e ricche di implicazioni psicologiche e pulsionali, virando prepotentemente verso un gusto incentrato su inquadrature ricche di quei contenuti morbosi e splatter che saranno poi ripresi ed elaborati dal cinema gore di Lucio Fulci e Umberto Lenzi.

Sono ancora però le atmosfere urbane e psicologiche ad interessare il regista, atmosfere cariche di suggestioni del tutto lontane dal gotico letterario e molto più vicine ai psycho-triller. Una tradizione dai connotati tutt’altro che realistici e dal sapore di leggenda metropolitana vuole infatti che Hitchcock in persona, dopo aver visto il primo film del regista romano, abbia esclamato – Questo italiano mi preoccupa! – . In realtà questa trilogia d’esordio appare ancora del tutto ancorata ad un gusto di matrice appunto hitchcockiana nel quale permangono le linee guida del genere thrilling e poliziesco, come ad esempio la plausibilità delle azioni dell’assassino (che deve essere deducibile dallo spettatore) e la consueta indagine per scoprire il colpevole, anche se Argento ebbe modo di introdurre alcune importanti novità sia a livello narrativo che di tipo estetico, come l’ormai celeberrima soggettiva del killer (già sperimentata in realtà da Bava) provvista però di protesi corporee (mani guatate, oggetti contundenti, ecc…) oltre al marchio di fabbrica costituito dalle sequenze oniriche e psicologiche che permettono allo spettatore di inserirsi per brevi ma intesi attimi nella mente e nel corpo dell’assassino in una sorta di identificazione totale.

Siamo ancora nelle rigide maglie del thriller classico ma dove la plausibilità degli eventi non fa più da padrona e cede spesso al gusto per l’invenzione visiva e alla paura indotta, senza dimenticare poi che fu proprio Argento assieme ai colleghi sopra citati ad affermare la tradizione tutta italiana del killer di sesso femminile, una prerogativa in seguito ampiamente imitata a livello internazionale. Perciò, dopo l’inconsueta e stramba parentesi storica in costume della commedia Le cinque giornate (1973) con Adriano Celentano, Argento decise di concentrarsi su un nuovo soggetto che potesse finalmente costituire un passaggio fra le narrazioni thrilling del passato verso il genere dell’horror puro, che sarà successivamente concretizzato con l’esoterico Suspiria (1977) e lo psichedelico Inferno (1980). Dunque elaborò una prima stesura dal titolo “La tigre dai denti a sciabola”, pensata per l’appunto come un ulteriore capitolo dell’animalesca trilogia, ma alquanto insoddisfatto del suo lavoro decise di affidarsi alla collaborazione di Bernado Zapponi, riuscendo alla fine a sviluppare una sceneggiatura dal titolo provvisorio di Chipsiomega nella quale ci fosse un perfetto equilibrio fra dimensione concreta della vicenda e sguazzi visionari e vagamente soprannaturali.

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Perturbante e allucinante

Furono proprio queste componenti che resero Profondo Rosso una pellicola nella quale un’atmosfera perturbante e allucinata viene incastonata in un contesto del tutto realistico in grado di aumentare esponenzialmente l’inquietudine e il terrore latente. Nacque così un vero e proprio cult della storia del cinema di genere, un film nel quale si narra di tremendi ed ingegnosi delitti dal sapore crudelmente realistico commessi da un inafferrabile uomo nero (erede dei killer in lattice nero di Bava) sullo sfondo di una Torino cupa ed esoterica nella quale si intrecciano inquietanti nenie infantili e oscure ville dal sapore gotico, ingredienti urbani e visivi che saranno ripersi in altri film futuri, come il disturbante Trauma (1993) e il poliziesco Non ho sonno (2001).

Il compito non ufficiale di investigare su questi atroci eventi viene assunto dal pianista Marc Daly (David Hemmings) che assieme all’irriverente giornalista Gianna Brezzi (Daria Nicolodi) riuscirà a risalire a una sconvolgente verità che si cela dietro terribili avvenimenti sepolti nella torbida tela dell’infanzia. Come già accennato, il film è ricco di sequenze e trovate straordinarie entrare a merito nella storia del cinema, fra qui la scioccante sequenza di apertura a suon di accoltellamento in silhouette; il ghignate pupazzo meccanico (progenitore del fantoccio della saga di Saw); l’omicidio di Giuliana Calandra affogata in una vasca di acqua bollente e ovviamente la sadica bambinetta Olga (Nicoletta Elmi) che si diverte a trafiggere le lucertole con spilli acuminati. Complice del culto nato attorno al film è sicuramente l’uso iperealistico della violenza brutale e l’impiego di creative tecniche di uccisione che saranno alla base anche del futuro thriller “alla luce del soleTenebre (1982) e del pretenzioso Opera (1987), veri e propri segni di riconoscimento di uno stile che diventerà col tempo inconfondibile e a suo malgrado ricco di plagi indegni. Dopo essersi separato dalla prima moglie Maria Casale e aver rotto la convivenza con Marilù Tolo, Argento decise di prendere in considerazione una giovane attrice fiorentina, già primadonna nelle commedie teatrali di Garinei e Giovannini e reduce da alcuni successi televisivi, e fu così che nacque un proficuo sodalizio professionale (e in seguito matrimoniale) con Daria Nicolodi, capacissima di dare il giusto tono nevrotico e suadente al personaggio di Gianna così come a futuri personaggi iconici dell’universo argentiano, primo fra tutti la terribile vicedirettrice Frau Brückner di Phenomena (1985). La Nicolodi si trova ad agire accanto al già noto David Hammings, attore scafato e reduce da grandi successi cinematografici del calibro di Blow-Up (1966) di Antonioni e Barbarella (1968) di Roger Vadim, anch’egli ottimo interprete del novello investigatore e musicista Marc. Per la parte della stramba madre dell’amico Carlo, interpretato da Gabriele Lavia, Argento volle un’attrice anziana ed un tempo molto nota, quasi sconosciuta alle nuove generazioni, e perciò optò con sicurezza verso Clara Calamai, eccellente interprete cinematografica italiana degli anni ’30 e ’40 divenuta celebre nel 1943 con Ossessione di Luchino Visconti accanto a Massimo Girotti.

Profondo Rosso colonna sonora goblin

La colonna sonora, dai Goblin ai Pink Floyd e i Deep Purple

Il culto del film viene inoltre accresciuto dalla tormentata genesi della sua celeberrima colonna sonora, in un primo momento affidata a Giorgio Gaslini (di cui rimangono le partiture jazz) ma che non convinse per nulla Argento, il quale, dopo aver ricevuto risposta negativa da alcune famose band del calibro dei Pink Floyd e i Deep Purple, consigliato dal suo editore musicale Carlo Bixio decise di affidarsi ad un giovane e sconosciuto complesso rock romano chiamato I Goblin, ragazzi diplomati al conservatorio che con sorpresa dello stesso regista riuscirono a creare una delle partiture musicali più incisive ed inquietanti di sempre, elaborando il famoso e ansiogeno tema principale nel corso di una sola notte nella cantina dove erano soliti provare. Iniziò così un sodalizio che sarebbe durato per anni e che avrebbe segnato il successo di altre intramontabili pellicole.

Profondo Rosso viene però anche ricordato dai suoi fans per le affascinati ed evocative ambientazioni, tutte concentrate fra Roma, Perugia e la già citata Torino, città cara al regista per le sue implicazioni magiche ed esotiche e teatro di alcuni luoghi simbolo del film, come ad esempio la gotica ed inquietante Villa del Bambino Urlante (in realtà chiamata Villa Scott e all’epoca convitto delle Suore della Redenzione); il famoso Teatro Carignano dove venne girata la sequenza di apertura del convegno di parapsicologia e la crepuscolare Piazza C.L.N nella quale venne allestito ex-novo il Blue Bar in cui si incontrano Carlo e Marc, plasmato sul famoso quadro Nighthawks di Edward Hopper. Prodotto dalla Rizzoli Film e girato in lingua inglese per aumentare la sua appetibilità di mercato, dopo una campagna pubblicitaria efficace e fortemente critica, Profondo Rosso venne finalmente rilasciato nei cinema nella primavera del 1975, riscontrando un clamoroso successo sia in patria che all’estero e dando vita ad un acceso dibattito critico.

In Italia ad esempio, dove il film incassò oltre 2 miliardi di lire e si posizionò al 10° posto nella classifica dei titoli della stagione, i critici si trovarono ancora una volta impreparati a recensire un’opera tanto destabilizzante e particolare, e come era accaduto per i film precedenti del regista vi furono molte riserve riguardo alla poca plausibilità della narrazione e per l’eccesso di violenza. Nel resto dell’Europa invece, soprattutto in Francia ed Inghilterra, il film venne accolto come una vera rivelazione, forse perché di fatto il pubblico era già abituato a digerire opere di genere particolari come i gialli anglosassoni o i film horror della Hammer. In Giappone, dove il film uscì solo nel 1978 dopo Suspiria, il suo successo fu clamoroso, tanto che venne rilasciato col titolo Suspiria – Parte 2. Quarant’anni sono passati dalla sua realizzazione e Profondo Rosso mantiene intatta la sua aura di inquietante opera di culto, tanto da essere stata ed essere ancora tuttora oggetto di numerose citazioni, parodie e riferimenti più o meno espliciti, oltre ad aver ispirato nel 2007 un musical omonimo per la regia di Marco Calindri con le musiche originali di Claudio Simonetti, interpretate dall’attore e cantante Michel Altieri nel ruolo di Marc.

Nel 2000, in occasione dei venticinque anni dall’uscita della pellicola, Dario Argento in persona con la collaborazione del gruppo dei Demonia realizzò un cortometraggio nel quale il regista stesso uccideva i singoli membri della band usando le ingegnose tecniche impiegate dall’assassino del film, una piccola auto-parodia oggi reperibile solo nella versione Bluray americana. Tutti noi grandi fans del maestro dell’horror attendiamo dunque con grande trepidazione, dopo la grande proiezione pubblica del film avvenuta nel corso del Fantafestival di Roma 2015, una qualche celebrazione in concomitanza con un nuovo decennio passato all’insegna del rosso sgorgare del sangue copioso della paura e della creatività emanata da una pellicola e da un regista che hanno saputo, tra alti e (scivolosi) bassi, attraversare il tempo continuando a tenerci svegli la notte, sempre col timore che qualche uomo nero possa piombare dall’oscurità e farci a pezzi in maniere stravaganti e brutali.

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