Oscar 2016: edizione politica nel nome di Leonardo DiCaprio

Si sta per concludere una lunga giornata di 48 ore, un tour de force che, una volta ogni anno costringe, nemmeno tanto a malincuore, gli addetti ai lavori del mondo del cinema a seguire, documentare, commentare, analizzare la cerimonia degli Academy Awards. Questi Oscar 2016 non fanno eccezione. Arrivati all’ottantottesima edizione del premio cinematografico più prestigioso dell’anno, è importante trarre qualche conclusione e guardare indietro alla scorsa notte, ai premiati, alle dinamiche, ai filo conduttore che ha percorso la serata.

 

Che edizione è stata la numero 88? Sicuramente non facile. La cerimonia, presentata da Chris Rock, alla sua seconda volta dopo gli Oscar del 2005, partiva con la pesantissima zavorra delle polemiche per le mancate nomination agli attori di colore, querelle che resta topica per lo star system hollywoodiano e che rimane forte anche adesso, a giochi conclusi. L’Academy ha già preso i suoi provvedimenti e le sue contromisure per ampliare il numero di membri appartenenti alle minoranze e per cercare di rappresentare maggiormente la comunità dello spettacolo. Ma come ha gestito la polemica Chris Rock, rappresentante della comunità “bistrattata” a Hollywood?

Il comico è partito in quarta, con un monologo iniziale un po’ troppo lungo ma efficace e cattivo quanto l’asperità delle parole dette nelle scorse settimana richiedevano, esordendo subito con un “White People’s Choice Awards” a fare il verso agli #OscarsoWhite. Tuttavia il tema iniziale si è poi trascinato lungo tutto lo spettacolo, con il risultato di eliminare completamente lo show e l’intrattenimento dalla serata e rimarcando con noia e insistenza sullo stesso tasto dolente con il risultato di annoiare. Rock ha fatto del suo meglio per gestire una patata bollente non da poco, ma non possiamo promuoverlo a pieni voti ed è probabile che questa edizione degli Oscar sia la sua ultima.

Per quanto riguarda invece i premi, era da diversi anni che l’Academy non regalava sorprese. Quest’anno ce ne sono state almeno tre e hanno fatto battere forte il cuore di moltissimi spettatori, anche italiani, che, complice la diretta in chiaro su Tv8 per la prima volta nella storia, hanno fatto la notte sperando (inutile negarlo) di vedere Leonardo DiCaprio vincere il suo benedetto/maledetto Oscar. Non sono rimasti delusi, ma andiamo con ordine e parliamo, per prima cosa, del film che ha portato a casa il maggior numero di premi Oscar.

Mad Max Fury Road ha conquistato ben sei statuette, tutte cosiddette tecniche, e nello specifico il film di George Miller ha vinto: miglior montaggio, miglior trucco e parrucco, migliore scenografia, migliori costumi, miglior sonoro e miglior montaggio sonoro. Anche se in genere i premi tecnici sono quelli che vengono considerati “minori”, rappresentano anche quei premi dal valore insindacabile. Se spesso capita che l’Oscar sia considerato un premio “politico” nel senso che sulla sua assegnazione influiscono dinamiche estranee alla qualità in senso stretto, nel caso dei premi tecnici questo è un po’ meno vero e quindi, da un punto di vista della determinazione dell’eccellenza, questi premi sono più attendibili.

L’opera follemente magnifica di George Miller ha dunque trionfato, numericamente, e, inutile negarlo, anche nel cuore della maggior parte degli spettatori da casa, che hanno riconosciuto in Miller un “vecchio pazzo”, geniale per la sua ferma intenzione di portare avanti un progetto folle e magnifico, modernissimo e, sotto tutti i punti di vista, la quint’essenza del cinema propriamente detto. Leggendario il premio al miglior montaggio a Margaret Sixel, signora Miller nella vita, e vera e propria eroina che ha portato ordine nelle oltre 400 ore di girato che George ha prodotto nel corso di due anni di lavorazione. Il risultato è stato un film (involontariamente?) politico che nell’Era della ricerca della parità di razza e genere avrebbe dovuto ricevere spazio anche nelle categorie principali. All’Academy manca ancora quel coraggio, ma il riconoscimento pure prestigioso con le nomination nelle categorie di miglior film e miglior regia sono comunque una bella vittoria.

Seguono la scia “politica” le vittorie de Il Caso Spotlight come miglior film (che ha vinto anche per la migliore sceneggiatura originale) e di Leonardo DiCaprio come migliore attore protagonista. I produttori del film diretto da Tom McCarty hanno colto l’occasione, durante il loro breve discorso di ringraziamento, per rivolgere a Papa Francesco un appello accorato e deciso in favore della difesa delle giovani vittime degli abusi da parte della Chiesa. Il film è un inno al racconto cinematografico alla vecchia maniera, ed è forte di un tema delicato e tutt’altro che passato. Dall’altra parte, Leo ha approfittato dei suo momento di gloria per ribadire quanto sia importante la difesa del Pianeta, un posto che sta morendo e che non dovrebbe essere dato per scontato, così come lui (a differenza di molti altri forse) non aveva dato per scontata quella serata e quella vittoria. Per lui una standing ovation, che l’ha lasciato quasi imbarazzato ma visibilmente sorridente, anche se un po’ rigido nel momento di maggiore interesse del suo acceptance speech. Con buona pace del web, uno dei migliori attori in circolazione ha adesso la sua statuetta, e poco importa se in molti dicono che Revenant – Redivivo non è la sua migliore interpretazione, come abbiamo detto, l’Oscar è una questione di probabilità, e questa volta siamo contenti che l’ago si sia sbilanciato in direzione di Leo.

Leonardo DiCaprio è uno dei tre magnifici moschettieri che hanno portato a casa gli Oscar di Revenant – Redivivo. A lui si aggiungono Alejandro G. Iñárritu, che vince per la regia, e Emmanuel Lubezki che invece vince per la fotografia. Entrambi gli artisti messicani portano a casa non solo un premio, ma un risultato storico, dal momento che per Iñárritu è il secondo Oscar consecutivo di categoria, dopo il premio per Birdman nel 2015, mentre per il Chivo (Lubezki per gli amici) si tratta addirittura della terza statuetta consecutiva, dopo Birdman nel 2015 e Gravity, di Alfonso Cuarón nel 2014. Riconoscimenti che coincidono con le intenzioni della maggior parte della critica che sostiene, nel bene e nel male, la perfezione tecnica e lo straordinario lavoro di orchestrazione delle scene in Revenant.

Anche la categoria per la migliore attrice protagonista non ha riservato sorprese né emozionanti discorsi di ringraziamento. Brie Larson, come da copione, porta a casa il premio, nel suo fluttuante abito blu di Gucci, con il suoi magnifici 26 anni e il suo sorriso semplice e diretto che ha così bene nascosto nell’intensa interpretazione nel film di Lenny Abrahamson. L’attrice porta alto il nome di Room, film indipendente che partito da Toronto aveva guadagnato ben quattro nomination agli Oscar.

Sorprese e qualche scontento per i premi ai migliori non protagonisti. Entrambi gli attori erano alla prima nomination, ma in punti molto diversi della loro carriera, e entrambi portano a casa l’unico premio per il film che rappresentano. Nella categoria riservata alla migliore attrice non protagonista, Alicia Vikander ha trionfato per il suo bel ruolo di The Danish Girl (4 nomination) che però poteva lasciare spazio a colleghe ugualmente meritevoli, come Rooney Mara, o meglio Kate Winslet per la sua maestosa interpretazione in Steve Jobs. Stesso discorso per Mark Rylance, attore britannico dallo straordinario talento che, dopo una vita di ruoli in sordina, dispiega questo magnifico ritratto di una spia sovietica, scritto a regola d’arte dai fratelli Coen e inquadrato dal maestro Steven Spielberg. Il suo è l’unico Oscar, su sei nomination, che porta a casa Il Ponte delle Spie, con buona pace degli altri nominati di lusso di categoria, e soprattutto di Sylvester Stallone che aveva, secondo i pronostici, l’Oscar in tasca per il ritorno di Rocky. Un po’ di dispiacere per Sly c’è, ma onore al merito.

Insieme a quello andato a Rylance e alla Vikander, il riconoscimento ai migliori Effetti Visivi è stato il premio più sorprendente. Ex Machina, magnifico sci-fi di Alex Garland, ha vinto in categoria, lasciando tutti a bocca aperta, premiati inclusi, che non sapevano se alzarsi o restare seduti, quando è stato fatto il loro nome dal palco del Dolby Theatre. Per una volta i VFX hanno premiato non la costruzione di mondi ma quella di corpi, in particolare quello dell’androide Ava, vero fulcro del film (interpretata da Alicia Vikander, che non può essere più felice per la sua serata).

Per tre grandi sorprese, tre premi abbondantemente annunciati: miglior documentario a Amy, miglior film straniero a Son of Saul di László Nemes per l’Ungheria e miglior film d’animazione a Inside Out di Pete Docter, che segna il ritorno alla vittoria di un Oscar di categoria per la Pixar, mancata all’appello per due anni. Contro la favorita Lady Gaga, Sam Smith e James Napier vincono la statuetta per la miglior canzone originale, Writing’s on the Wall, da Spectre.

Abbiamo lasciato per il finale il commento del momento più emozionante della serata. Perché se è vero che l’arte non ha confini, è anche vero che un pochino d’orgoglio nell’essere italiani l’abbiamo provato tutti la scorsa notte, quando Ennio Morricone, 87 anni, commosso e tremante, ha ritirato il suo secondo premio Oscar, il primo sul campo dopo quello alla carriera, di fronte a una folla festante e adorante, consapevole di avere di fronte uno dei più grandi compositori di musica da film del nostro tempo. Morricone ha ringraziato l’Academy, Tarantino che l’ha voluto a tutti i costi in The Hateful Eight, e infine, come da tenera tradizione, la moglie, senza dimenticare un pensiero per John Williams, nominato con lui e altro pilastro della musica da film contemporanea.

Snobbati della serata restano invece Carol di Todd Haynes, che aveva collezionato sei nomination, e Sopravvissuto – The Martian di Ridley Scott che aveva invece sette nomination. Riconosciuti comunque dall’Academy, i due film potevano forse ambire a qualche statuetta ma gli Oscar non sono mai abbastanza per tutti quelli che li meritano, e così c’è sempre qualcuno che va a casa a bocca asciutta, senza che questo però diminuisca il lavoro comunque attestato dalla presenza trai migliori film dell’anno.

Gli Oscar 2016 si ricorderanno per essere stata un’edizione particolarmente politica, che come immagine simbolo avrà, ovviamente, quel sorriso imbarazzato di Leo di fronte alla platea di colleghi che lo applaude come uno dei migliori tra loro.

Trai tanti premiati resta quindi anche qualche delusione, alcuni meritevoli artisti snobbati (forse più di uno) e la consapevolezza che, per quanto importanti e prestigiosi, i premi sono come i voti in numeri o stelle, che tanto piace assegnare ai film: sono sempre parziali e incompleti.

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