Uscito nel 2016 e diretto da Jaume Collet-Serra (regista di Orphan e L’uomo sul treno), Paradise Beach – Dentro l’incubo (qui la recensione) si inserisce nel filone del survival thriller con protagonista uno squalo assassino, un sottogenere che da decenni esercita un fascino particolare sul pubblico. Il film mescola così tensione claustrofobica e spettacolarità, costruendo una narrazione che si concentra soprattutto sulla lotta istintiva per la sopravvivenza e sulla capacità di resistenza fisica e mentale della protagonista, interpretata da Blake Lively.
L’opera si distingue inoltre per il suo approccio minimalista: pochi personaggi, una sola location principale e un pericolo costante e tangibile che mantiene viva la tensione dall’inizio alla fine. Non solo un survival movie, dunque, ma anche uno di quei film pressoché interamente ambientati in un unico ambiente (sebbene in questo caso all’aria aperta). Temi come la paura della natura incontrollabile, il coraggio di affrontare i propri limiti e la solitudine diventano quindi i cardini di un racconto che trova nello scontro tra uomo e predatore marino la sua massima espressione.
In questo senso, il film richiama alla memoria il classico Lo squalo di Steven Spielberg, ma anche pellicole più recenti come Open Water o 47 Metri. Se da un lato il film si muove all’interno di un genere già ben consolidato, dall’altro riesce a proporre un’esperienza intensa e avvincente, che unisce spettacolarità e tensione psicologica. Nel resto dell’articolo ci concentreremo però proprio su un particolare interrogativo che spesso accompagna film di questo tipo: Paradise Beach – Dentro l’incubo è ispirato a una storia vera o si tratta di pura finzione cinematografica?
La trama di Paradise Beach – Dentro l’incubo
Il film racconta di Nancy Adams, una studentessa di medicina che cerca disperatamente di superare il lutto per la prematura morte di sua madre. Dopo aver ritrovato vecchie foto della donna, che la ritraggono intenta a fare surf sulle onde dell’idilliaca Paradise Beach, Nancy decide di partire alla volta dell’isolata spiaggia che raggiunge grazie all’aiuto di Carlos. Indossata la muta, Nancy si immerge così nelle acque cristalline del mare. Sebbene stia per calare la notte la ragazza, stizzita per una stressante conversazione telefonica con il padre, decide di rimanere ancora nell’acqua per sciogliere i nervi.
Improvvisamente, Nancy si imbatte nella carcassa di una megattera orribilmente squartata e percepisce nell’acqua la presenza di uno squalo bianco. Cercando di ripararsi sul corpo del cetaceo morente, la giovane studia un piano per allontanarsi dalle fauci del sanguinario animale e trova riparo su un gruppo di scogli. Sfortunatamente l’attacco dello squalo è andato a segno e Nancy si trova completamente sola, con una gamba gravemente ferita che dovrà ricucire come possibile per non morire dissanguata. Consapevole che prima che i soccorsi arrivino potrebbe essere troppo tardi, la ragazza dovrà trovare da sé un modo per salvarsi.
Il film è tratto da una storia vera?
Partiamo con il dire che no, Paradise Beach – Dentro l’incubo non è tratto da una storia vera. Nasce come opera di pura finzione che si inserisce nel filone del survival thriller con protagonista uno squalo. A differenza di film come Soul Surfer (2011), ispirato alla vera vicenda della surfista Bethany Hamilton, qui la protagonista Nancy e le sue peripezie sono il frutto dell’immaginazione degli sceneggiatori. Nonostante ciò, il film riesce a trasmettere una sensazione di realismo grazie alla messa in scena essenziale e alla performance di Lively, capace di reggere quasi interamente il racconto da sola. La forza della sua interpretazione ha permesso al pubblico di immergersi in una vicenda che, pur essendo lontana da fatti reali, mantiene un forte impatto emotivo.
L’idea alla base della sceneggiatura nasce però dunque da Anthony Jaswinski, che in un’intervista ha raccontato come la fonte d’ispirazione non sia stata una vicenda di cronaca, bensì un mix di suggestioni. Dopo aver guardato lo speciale Shark Week, si rese conto che nel cinema e in TV gli squali avevano perso la loro aura di minaccia, diventando talvolta creature caricaturali come in Sharknado. A quel punto, decise di riportare la paura su un piano più realistico e claustrofobico, immaginando una storia semplice ma densa di tensione: una donna bloccata su una roccia, la terraferma visibile ma irraggiungibile, con uno squalo che la tiene in trappola.
A influenzare ulteriormente il progetto fu anche la visione di Duel (1971), sempre di Steven Spielberg, che mostrava come un antagonista apparentemente semplice potesse generare terrore costante. Jaswinski pensò di applicare la stessa dinamica alla figura dello squalo, costruendolo non solo come un predatore, ma come un “vecchio guerriero” temprato dalle battaglie, impegnato in un duello all’ultimo respiro con la protagonista. Da questa miscela di suggestioni cinematografiche e televisive nacque così la trama di Paradise Beach – Dentro l’incubo, confermando che non si tratta di un racconto tratto da fatti reali, ma di un thriller pensato per restituire al pubblico il brivido della lotta per la sopravvivenza.