Stranizza d’amuri (qui la recensione) segna l’esordio alla regia cinematografica di Giuseppe Fiorello, che dopo una lunga carriera da attore decide di mettersi dietro la macchina da presa per raccontare una storia intima, potente e profondamente radicata nel territorio siciliano. Il film, uscito nel 2023, rappresenta una scelta coraggiosa e personale: Fiorello non solo dirige, ma firma anche la sceneggiatura, dimostrando una sensibilità rara nel tratteggiare l’adolescenza, l’identità e l’amore in un contesto sociale difficile. Il titolo, ispirato all’omonima canzone di Franco Battiato, evoca fin da subito un senso di dolcezza malinconica e di ribellione emotiva.
Per realizzare il film, Fiorello ha dunque scelto un linguaggio delicato e poetico, capace di affrontare tematiche complesse come l’omosessualità, l’omofobia e la violenza in una Sicilia rurale degli anni ’80, senza mai cadere nella retorica o nel pietismo. La narrazione si concentra sul rapporto tra due ragazzi, Nino e Gianni, le cui vite si intrecciano in un percorso di scoperta e di dolore. L’ambientazione accurata, la fotografia calda e l’uso della lingua e della musica siciliana contribuiscono poi a costruire un’atmosfera autentica, sospesa tra nostalgia e denuncia sociale. Il lavoro con i giovani interpreti ha infine dato vita a performance intense e credibili, che hanno emozionato pubblico e critica.
Accolto con entusiasmo al debutto, Stranizza d’amuri ha dunque ottenuto diversi riconoscimenti e ha saputo imporsi nel panorama del cinema italiano per la sua forza narrativa e il coraggio tematico. Ma il film è tutt’altro che una storia inventata: affonda invece le radici in un fatto di cronaca realmente accaduto, che ha segnato la Sicilia e l’Italia degli anni ’80. Nel prosieguo dell’articolo, approfondiremo quindi la vicenda che ha ispirato Fiorello e il modo in cui il regista ha saputo trasformare quella tragedia dimenticata in un’opera cinematografica di grande impatto emotivo.
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La trama di Stranizza d’amuri
Giugno 1982, in una calda Sicilia che freme per la Nazionale Italiana ai Mondiali di calcio, due adolescenti, Gianni e Nino, si scontrano con i rispettivi motorini lungo una strada di campagna. Dallo scontro nasce una profonda amicizia, ma anche qualcosa di più, qualcosa che non viene visto di buon occhio dalle famiglie e dai ragazzi del paese. Coraggiosi e affamati di vita, Gianni e Nino non si curano dei pregiudizi, delle dicerie e vivono liberamente. Una libertà che gli altri però non comprendono e non sono disposti ad accettare.
La storia vera dietro il film
La storia vera che ha ispirato Stranizza d’amuri affonda le sue radici in un tragico fatto di cronaca avvenuto nel 1980 a Giarre, un comune della provincia di Catania, in Sicilia. Il 31 ottobre di quell’anno, due ragazzi, Giorgio Agatino Giammona (25 anni) e Antonio Galatola, detto “Toni” (15 anni), furono trovati morti, abbracciati, in un terreno ai margini della cittadina. Entrambi erano stati uccisi con un colpo d’arma da fuoco alla testa. Accanto ai loro corpi, un bigliettino lasciava intuire il legame affettivo che li univa, e che proprio questo legame era alla base della tragedia. I due ragazzi erano omosessuali, e la loro relazione era malvista e perseguitata nel contesto sociale del tempo.
Il caso fece scalpore, ma al tempo stesso fu rapidamente silenziato. Le indagini si chiusero con l’arresto e la confessione del cugino quindicenne di Antonio, che si accusò del duplice omicidio. Tuttavia, molti dubbi restarono aperti, alimentati da una generale reticenza sociale e da un’omertà che sembrava voler proteggere l’onore delle famiglie più che fare giustizia. Alcuni sospettarono che il giovane si fosse assunto la colpa per proteggere adulti coinvolti o per “salvare la faccia” della famiglia, in un contesto ancora profondamente patriarcale e omofobo. Il caso fu presto archiviato e, per anni, dimenticato dall’opinione pubblica.
Eppure, la morte di Giorgio e Antonio diventò con il tempo un simbolo. Negli anni successivi, il loro nome è stato progressivamente recuperato dalla memoria collettiva come emblema della lotta contro l’omofobia. L’associazione Arcigay, fondata a Palermo proprio pochi anni dopo, nel 1985, nasce anche sull’onda emotiva di quella tragedia: fu infatti inizialmente chiamata Arcigay Giarre, proprio in omaggio ai due giovani. Il loro sacrificio, nato dall’amore e soffocato dalla violenza, è diventato uno dei primi casi di cronaca a rendere visibile l’omofobia sistemica nell’Italia del tempo.
Stranizza d’amuri si ispira dunque a quella vicenda senza mai nominarla direttamente, ma ne conserva l’anima profonda. Giuseppe Fiorello ha scelto di ambientare il film in una Sicilia calda e sospesa, senza tempo, che fa da sfondo al fiorire di un amore giovanile puro e tenero. Il film rilegge quella tragedia con gli strumenti del cinema, ricostruendo con sensibilità il contesto oppressivo in cui i due protagonisti si muovono, costretti a nascondersi, temendo il giudizio, le voci, la violenza. Le figure degli adulti appaiono incapaci di comprendere, mentre il paesaggio, spesso soleggiato ma inquieto, riflette l’invisibile tensione che conduce al dramma.
Nel raccontare questa storia, Fiorello rende omaggio non solo a Giorgio e Antonio, ma a tutti coloro che hanno vissuto amori nascosti, silenzi imposti, ferite invisibili. Il film restituisce dignità e luce a una vicenda rimossa, trasformandola in un canto dolente e poetico. In questo modo, Stranizza d’amuri non è solo un’opera prima, ma un gesto civile, una dichiarazione d’amore e memoria, un invito a non dimenticare e a continuare a raccontare ciò che troppo spesso è stato messo a tacere.