Nella cornice del cinema
Barberini si è tenuta oggi la conferenza stampa del
film Anita B. di Roberto
Faenza.
Erano presenti gli attori Robert Sheehan, Eline Powell (i giovani protagonisti), Andea Osvàrt, Moni Ovadia, Antonio Cupo, il regista Roberto Faenza, il delegato di produzione e distribuzione, il compositore delle musiche che compongono la colonna sonora del film e altri membri del cast tecnico.
La domanda d’apertura ha coinvolto Faenza, e riguarda la cancellazione del film da molte sale. La risposta del regista, con l’ausilio della delegata di produzione, è stata strutturata intorno al problema enorme della distribuzione indipendente, che troppo spesso penalizza le pellicole prodotte da piccole case che non hanno la visibilità necessaria e non riescono, quindi, a raggiungere un mercato più ampio, magari anche all’estero. Spesso, involontariamente, la colpa è anche della stampa stessa che non fa niente per sensibilizzare l’opinione pubblica di fronte al problema.
Il regista parla di un equivoco sorto intorno al tema del film: parlare di Auschwitz e della storia di una ragazzina ebrea sopravvissuta all’orrore e allo sterminio non incontra il favore del pubblico e, soprattutto, della distribuzione mainstream.
Il film si ispira al romanzo semi- autobiografico di Edith Bruck Quanta Stella c’è nel cielo (titolo ispirato al primo verso di una ballata triste del poeta ungherese Sandor Petrofi), anche se Faenza in un primo momento non aveva intenzione di leggere l’opera; solo dopo le parole persuasive del giornalista Furio Colombo si è reso conto della particolarità della storia e si è convinto a realizzarlo. Ma l’intento del regista, cioè quello di realizzare una storia diversa, si è scontrato con le difficoltà produttive e post- produttive: le grandi case italiane di distribuzione- tipo 01, Medusa o Rai Cinema, hanno scelto di non essere coinvolti fino in fondo nel processo distributivo o di essere coinvolti in parte; infatti Rai Cinema lo ha prodotto in parte insieme a Jean Vigo e Cinema 11, piccole case indipendenti. In Italia saranno distribuite una ventina/ trentina di copie a partire dal 16 Gennaio.
In seguito sono partite
le domande rivolte agli attori: la maggior parte erano incentrate
sul loro rapporto con il personaggio e sul percorso emotivo che
hanno seguito per calarsi meglio in caratteri così diversi, e
lontani, da loro.
Andrea Osvàrt, per esempio, si è detta onorata di aver preso parte al progetto, non solo perché la storia era ambientata in Ungheria (e, per lei, è stato come tornare a casa) ma soprattutto perché qui in Italia, dopo la sua partecipazione a Sanremo, è stato difficile riuscire a cancellare quella percezione patinata che il pubblico aveva di lei e riconfermarsi, invece, come un’attrice di punta nel cinema di qualità; per tale motivo ha trascorso due anni in America.
Una sorte simile è toccata ad Antonio Cupo, nel film suo marito, che si è detto onorato di aver preso parte a questo prestigioso progetto; per tutti la difficoltà più grande è stata quella di riuscire a trovare, nella loro memoria emotiva, le tracce di un dolore antico e lancinante che effettivamente nessuno ha mai conosciuto.
Sicuramente il personaggio più complesso è quello di Eli, il cognato di Monika (la Osvàrt), interpretato dal talentuoso attore irlandese Robert Sheehan, un personaggio dalla psicologia e dalla morale ambigua, difficile da adattare per il grande schermo: rispetto al romanzo, Eli ha una connotazione meno negativa e più umana- a detta di Faenza stesso- è, in fondo, un ragazzo giovane che vuole vivere leggero dopo gli orrori visti e subiti: la sua volontà è quella di voler dimenticare tutto il passato al più presto, per questo prende la vita letteralmente “a morsi” e adotta una filosofia materialista e pragmatica. Per Sheehan interpretare un personaggio completamente negativo non sarebbe stato né divertente, né stimolante; un personaggio così sfuggente e ambiguo, con una visione profondamente nichilista dell’umanità e del mondo, con una voglia disperata di vivere (cosa che accomuna tutti i personaggi del film, confermando uno dei precetti fondamentali della religione ebraica) serve a rafforzare la fragilità di Anita e la sua disperata voglia di guardare al futuro ,portando con sé un unico bagaglio: il passato.
Eline Powell,
riguardo al suo personaggio, afferma che Anita non piange sulle
ceneri del passato, ma è alla ricerca dell’amore che non ha mai
conosciuto, cercando di riconquistare ciò che ha perduto per
sempre: e proprio grazie a questa forza cerca di ricostruire la
propria anima in un mondo ostile, affermando la sua identità.
Infine, Moni Ovadia ha chiuso gli interventi con una profonda riflessione sul suo personaggio, zio Jakob, un personaggio positivo che forse non ha vissuto in primo piano il dramma delle deportazioni ma ha lottato nella resistenza; è un ottimista il cui fine è quello di rendere tutti felici, qualunque sia la loro richiesta. Il suo personaggio è un residuo splendido della Yiddishkeit tipica dello shtetl est- europeo, ricordo di una storia antica e mai dimenticata.
Il film non uscirà in occasione della giornata della memoria, il 27 Gennaio, ma sarà presentato in tale data a Gerusalemme proprio per celebrare questa importante data.