Black Star – Nati sotto una stella neraSi è svolta presso il cinema Adriano di Roma la conferenza stampa di presentazione del film Black Star – Nati sotto una stella nera (qui la recensione del film) del regista Francesco Castellani, prodotto da Point Films con Rai Cinema e patrocinato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Alla conferenza stampa erano presenti il regista e il co-sceneggiatore David Turchi; la presidente di Liberi Nantes, Daniela Conti; alcuni dei musicisti che hanno contribuito alla colonna sonora oltre che alcuni degli attori tra cui Alessandro Procoli e Koffi Gbounfoun.

 

La parola viene presa subito dalla presidente di Liberi Nantes, raccontando la storia della Liberi Nantes Football Club della quale il film riporta la nascita.

«L’associazione sportiva è nata nel 2007, in occasione dei mondiali antirazzisti ch si tengono ogni anno, per aiutare l’inclusione dei migranti forzati nel tessuto sociale. Abbiamo dunque deciso di affittare un campo di calcio nel quartiere di Pietralata per tutti coloro che avevano voglia di allenarsi o di giocare a calcio. Dopo poco più di un anno è nata l’idea della squadra che ora milita in III categoria, anche se fuori classifica per i problemi legati alla cittadinanza dei giocatori. Quindi il campo 25 Aprile  che vedete nel film è quello vero, e ci è stato dato in concessione dalla Regione Lazio. Ci tengo però a precisare che al contrario di quello che raccontiamo nella pellicola, non c’è mai stato alcuno scontro con i residenti e i cittadini del quartiere, che anzi sono sempre stati molto aperti e generosi. Siamo molto felici di questo progetto che l’anno scorso ha vinto la Coppa Invisibili messa in palio nell’ambito sempre dei Mondiali Antirazzisti. Pensiamo sempre che lo sport non sia un bene primario per l’uomo, ma in questo caso è veicolo di solidarietà e integrazione, e quindi forse è più importante di quanto si creda.»

Come spesso accade nel cinema italiano, le vere difficoltà non sono tanto nella fase di produzione o post-produzione del film, ma soprattutto in quella di distribuzione. E Black Star  non fa eccezione da questo punto di vista. Questo è quello che racconta il produttore Mario Orfini:

«Francesco (Castellani, ndr) era seriamente intenzionato a fare questo film, e nonostante le mie remore iniziali abbiamo contattato esercente per esercente, al telefono o di persona, senza filtri e senza intermediari e siamo riusciti ad assicurarci la distribuzione in quindici sale nazionali, tra cui molte in capoluoghi importanti. Io all’inizio. È vero, non ero convinto, ma leggendo la sceneggiatura ho capito che era un grande progetto, importante e allora ho deciso di farlo. Perché se un solo spettatore vedendo questo film sente smossa la sua coscienza e decide di aiutare in qualche modo anche un solo migrante allora ne è valsa la pena.»

A parlare della modalità in cui si sono svolti i casting, che hanno premiato non solo attori alle prime armi ma anche molti volti della recitazione romana più underground, è Gabriele Geri: 

«Sappiamo tutti che in Italia è molto difficile fare gli attori, per colpa di un certo modo di gestire i casting. Siamo pieni di bravi attori che però sono invisibili al grande pubblico. È per questo che abbiamo deciso di fare un casting indipendente, per cercare di togliere il tappo a questa situazione, troppo spesso infatti i casting sono pilotati. E come si dice nel nostro film vogliamo sentirci “free to play” che  non vuol dire solo giocare, ma anche recitare!»

È ancora una volta il regista Francesco Castellani a dirci perché proprio Pietralata come luogo in cui ambientare la storia.

«Non solo perché è una periferia, o perché fin da Pasolini qui si è raccontata la vita della gente vera, del popolo. Ma anche perché questo è sempre stato un quartiere di “immigrati”, fin dagli sventramenti fascisti, durante i quali gente che viveva magari nel Rione Borgo, nel cuore della Roma barocca si è ritrovato a vivere in una casa popolare circondato solo da campi e pecore per fare spazio a Via della Conciliazione. E nell’immediato dopoguerra, i tanti migranti del sud Italia che venivano nella capitale a cercare fortuna si stabilivano qui, fino al giorno d’oggi quando i clandestini come i ragazzi che raccontiamo nel nostro film non trovano alcuno spazio se non in queste borgate.»

Lo sceneggiatore David Turchi conclude:

«Erano molte le cose che volevamo raccontare, tutte molto attuali ma difficili, soprattutto da trattare in una commedia. L’importante per noi era raccontare una storia che potesse valere ovunque: in Italia e nel mondo. Ma più di tutto credo fosse importante raccontare di come, spesso, le buone idee come quelle dei nostri protagonisti vengono boicottate per interessi più grandi.»

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