Tratto dall’omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro, premio Nobel per la letteratura, Quel che resta del giorno (1993) è uno dei più raffinati esempi di adattamento cinematografico di un’opera letteraria contemporanea. Diretto da James Ivory, il film si inserisce nel solco del cinema in costume britannico degli anni ’90, con la tipica cura per l’ambientazione storica e la ricostruzione d’epoca, ma riesce anche a trascendere il genere grazie alla profondità dei temi affrontati. Ambientata principalmente negli anni Trenta e Quaranta, la storia utilizza l’eleganza formale della cornice aristocratica inglese per riflettere su questioni universali come la fedeltà, la repressione dei sentimenti e il peso delle scelte morali.
Il cuore del film è rappresentato dal cast di altissimo livello, guidato da Anthony Hopkins e Emma Thompson, qui alla loro seconda collaborazione dopo Casa Howard, sempre per la regia di Ivory. Hopkins veste i panni di Stevens, il maggiordomo che ha fatto della dedizione e della disciplina il centro della propria esistenza, sacrificando emozioni e desideri personali. Thompson interpreta Miss Kenton, la governante che con la sua presenza gentile e risoluta mette in discussione le certezze del protagonista, incarnando una tensione emotiva mai dichiarata apertamente. Intorno a loro si muovono figure di spicco come James Fox e Christopher Reeve, che contribuiscono a delineare con precisione l’intreccio tra vita privata e grandi eventi storici.
Accolto con entusiasmo dalla critica e dal pubblico, Quel che resta del giorno ottenne un enorme successo anche in ambito di premi, ricevendo otto nomination agli Oscar, tra cui miglior film, miglior regia, miglior attore e migliore attrice protagonista. La raffinatezza della sceneggiatura, la regia di Ivory e l’intensità delle interpretazioni lo hanno consacrato come un classico moderno, capace di mantenere intatta la sua forza emotiva a distanza di decenni. Nel prosieguo di questo articolo ci concentreremo sul significato del finale, analizzando le scelte narrative e i simboli che rendono indimenticabile l’ultima parte del racconto.

La trama di Quel che resta del giorno
Ambientato tra gli anni Trenta e il secondo dopoguerra, Quel che resta del giorno racconta la vita di Stevens (Anthony Hopkins), maggiordomo al servizio di Lord Darlington (James Fox) nella sontuosa residenza di Darlington Hall. Devoto al proprio ruolo e al codice di condotta che impone discrezione assoluta, Stevens incarna l’ideale del servitore perfetto, disposto a sacrificare ogni emozione personale pur di adempiere ai suoi doveri. Accanto a lui si inserisce la figura di Miss Kenton (Emma Thompson), la nuova governante della casa, il cui carattere schietto e sensibile finisce per incrinare la rigidità del protagonista, rivelando lentamente le fragilità e i desideri che egli tenta di reprimere.
Il racconto si sviluppa attraverso un lungo flashback, innescato da un viaggio compiuto da Stevens nel dopoguerra, quando l’ex maggiordomo parte per ritrovare Miss Kenton, ormai sposata e lontana da Darlington Hall. Durante questo itinerario, la memoria lo riporta agli anni in cui il suo padrone, Lord Darlington, ospitava diplomatici e uomini politici vicini alla Germania nazista, mentre lui stesso, pur consapevole delle implicazioni morali, continuava a mantenere un atteggiamento di cieca obbedienza. L’intreccio alterna così i ricordi del passato alle immagini del presente, delineando una vicenda intima e insieme storica, nella quale l’amore mancato tra Stevens e Miss Kenton si intreccia indissolubilmente al tramonto di un mondo aristocratico destinato a scomparire.
La spiegazione del finale del film
Nel terzo atto della vicenda, Stevens intraprende dunque un viaggio che lo conduce a rivedere Miss Kenton, ormai Mrs. Benn, sposata da anni e con una figlia adulta. L’incontro, tanto atteso, si svolge in un’atmosfera sospesa tra nostalgia e malinconia, con i due personaggi che ripercorrono le esperienze condivise a Darlington Hall e i sentimenti mai espressi apertamente. La conversazione rivela che, nonostante le difficoltà del matrimonio, Miss Kenton ha trovato una forma di serenità nella vita costruita lontano da Stevens, mentre lui resta intrappolato nel rimpianto di ciò che avrebbe potuto essere.

Il film si chiude con il ritorno del protagonista a Darlington Hall, ora di proprietà di un ricco americano, Mr. Lewis (Christopher Reeve). Nella scena finale, Stevens assiste a un uccello rimasto intrappolato nella sala della residenza e che, liberato da una finestra, vola via. Questo gesto, apparentemente semplice, assume un significato simbolico, contrapponendosi alla condizione dell’uomo, incapace di emanciparsi dal ruolo che ha scelto e dalle emozioni soffocate per tutta la vita. La malinconia dell’ultima inquadratura, che indugia sul volto composto di Hopkins, sancisce la definitiva chiusura di una storia d’amore mai vissuta e di una vita dedicata a un padrone, a scapito di se stesso.
Il finale di Quel che resta del giorno è la rappresentazione di un bilancio esistenziale. Stevens incarna la parabola di chi ha rinunciato alla libertà e ai sentimenti per un ideale di servizio che, col tempo, si rivela vano e anacronistico. L’incontro con Miss Kenton dimostra che la possibilità di un futuro diverso è ormai sfumata e che il prezzo della sua fedeltà cieca a Lord Darlington e al ruolo di maggiordomo è stato il sacrificio della propria felicità. La liberazione dell’uccello diventa così l’immagine contrapposta di ciò che lui non ha mai saputo fare: scegliere di vivere davvero.
Cosa ci lascia il finale di Quel che resta del giorno
Per lo spettatore, questa conclusione lascia una riflessione amara ma universale sul senso delle scelte e sulla necessità di non rinviare all’infinito la possibilità di esprimere i propri sentimenti. Stevens rimane un personaggio emblematico perché mostra come la dedizione assoluta, se priva di umanità, conduca alla solitudine e al rimpianto. Ivory costruisce un epilogo che non concede catarsi né lieto fine, ma che invita a guardare con lucidità al valore del tempo e delle decisioni che lo riempiono, consegnando al pubblico un’opera che resta incisa nella memoria non solo per la sua eleganza formale, ma soprattutto per la profondità della sua lezione emotiva e morale.