Ivan Franek: intervista al protagonista di Kalavria

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Ivan Franek in Kalavria

Presentato al Bif&st 2024, Kalavria è il nuovo film di Cristina Mantis, un documentario, ma anche un viaggio alla scoperta di una affascinante terra di confine, dove il passato e presente si fondono. Ne abbiamo parlato con Ivan Franek, il protagonista di questa specie di Odissea, in cui lui, Ulisse/naufrago, sbarca su queste terre e le attraversa.

 

-Il personaggio del naufrago è un protagonista, ma anche un narratore. Proprio come Ulisse nell’Odissea, che ha vissuto le sue avventure, ma le racconta anche. Che tipo di preparazione ha richiesto questo duplice ruolo?

Mi sono messo completamente nelle mani di Cristina Mantis, la regista. La preparazione più importante è stata quella di liberarmi di tutto quello che c’era intorno a me, di spogliarmi metaforicamente e mettermi a nudo. Essere vuoto per poter accogliere e capire, per poter comunicare con le persone e cercare se stessi, una condizione invisibile, dentro di me.

-Il film è ambientato in Calabria, terra di confine. Ma nel film stesso si dice che il confine tra le terre non esiste, perché per ogni periferia del mondo, c’è un confine che si sposta più in là. Soprattutto nei territori in cui passato e presente si incontrano. Secondo te cosa c’è di tanto misterioso e affascinante in questi luoghi?

Penso che ci sia un’energia del tempo che si è fermato. La natura nel suo essere rimasta selvaggia e le persone in cui ci vivono che sono come le radici di quella terra., queste persone che ho incontrato lì fanno parte di questa terra, come l’ultimo brigante, o la signora dei gabbiani, tutti personaggi che ho incontrato in questo viaggio. I confini non esistono, la Terra è unica. Il mare non è un confine.

-Sei reduce da I Tre Moschettieri, produzione molto ricca e sontuoso. Kalavria invece è molto piccolo come progetto. Come scegli i progetti a cui partecipare?

Sicuramente il copione e il tema che affronta la storia sono elementi importanti. A volte voglio semplicemente lavorare con un regista in particolare, come è capitato con Besson. Ma mi piace molto affrontare diversi tipi di cinema e diversi generi. Sono tornato da poco da Praga, c’è un giovane regista francese che sta finendo la scuola di cinema e ha bisogno di un attore che interpreti il diavolo che tenta una novizia. Mi è piaciuto il soggetto e il progetto e ho accettato.  Mi piace molto lavorare con i giovani perché sono molto curiosi e pieni di buona volontà. Ma se un copione non mi piace rifiuto. Non sono mai i soldi a condizionare le mie decisioni.

-Gli attori sono un po’ come Ulisse: sono curiosi e girano il mondo. Ma l’eroe omerico ha poi il forte desiderio di tornare a casa. È così anche per gli attori?

Sì, è così anche per gli attori. Devo dire che io ho tre posti che posso chiamare casa, sono posti dove sono i miei cari, dove ho sempre piacere di tornare, in Repubblica Ceca, in Francia e qui a Roma. Per me è casa ogni posto dove posso tornare e dove ci sono i miei affetti. È come se avessi tre vite in tre Paesi diversi, e poi c’è il quarto, che è una mia dimensione. Per me sono tre posti importanti e dove è un piacere tornare.

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