L’amor Fuggente, il primo amore della coppia Vezzoli e Pennacchi

Tra i protagonisti dell'esordio di Davide Lomma, i due attori raccontano l'esperienza

L'amor fuggente
Per gentile concessione di Echo Group

Regista ed antropologo nato a Pesaro, dopo anni di cortometraggi premiati e documentari, Davide Lomma sarà prossimamente sullo schermo con il suo primo lungometraggio, L’amor Fuggente. Prodotto da Play Entertainment e A.B. Film, attraverso il racconto di coppie in crisi, della scoperta di primi amori molto diversi, passioni cocenti e fugaci, il film mette in scena un catalogo di situazioni che raccontano le relazioni di oggi a partire dalla proposta di matrimonio di Fil e Mia, che innesca una specie di reazione a catena.

 

Nella quale cadono anche Antonio e Didier, sullo schermo interpretati da Emanuele Vezzoli e Andrea Pennacchi, rispettivamente ex marito e miglior amico della sessantenne Teresa (la madre di Mia), che dopo tanti anni si scoprono attratti e decidono di vivere liberamente la propria omosessualità. Una esperienza della quale ci hanno parlato sul set i due attori, alla vigilia della fine delle riprese.

Che amore è quello di Antonio e Didier?

V: Tardivo

P: Come il radicchio!

Seriamente…

V: Il loro è un amore a sorpresa. E per il mio personaggio è una scoperta un po’ tardiva – come dicevo –  della propria natura. Un modo per toccare un tema non così infrequente, con il sorriso sulle labbra. Io stesso ho esperienza di persone che hanno deciso di fare una scelta come questa a metà del corso della loro vita. Anche con figli già grandi.

P: Didier invece è più risolto, è consapevole da sempre della propria sessualità, ma incontra questo amore e lo ruba alla sua amica. Il ché diventa il suo piccolo tormento. Un costante senso di colpa.

V: Quelli non mancano mai, in qualsiasi coppia. Quando finisce un amore e ci son di mezzo anche i figli, te li porti appresso per sempre. Ma devi imparare a conviverci.

per gentile concessione di Echo Group

Un tema che spesso nelle commedie abbiamo visto macchiettizzato

V: Quando ero ragazzino era un tabù, le persone erano costrette a nascondere la propria natura. Ma finalmente i ragazzi di oggi, e lo vedo con i miei figli, sono diversi. Lo vedo sui loro volti e nei loro discorsi. Fa ben sperare. In film come Il vizietto si giocava sulla novità, sull’esotico, un folclore che oggi può offendere. Ma la bellezza di questo film è che prende in considerazione tipi diversi di rapporto, a coppie.

P: E la nostra è la coppia più tradizionalista.

Un rischio nel quale avete siete riusciti a non cadere, quindi?

V: Dovevamo tenere sotto controllo l’equilibrio, evitare gli eccessi. Ma la difficoltà maggiore è stata nei momenti in cui si racconta la realtà, pur trattandosi di una commedia. Per me la scena più drammatica è stata quella con la figlia Mia.

P: Era importante mantenere la misura, non superare certi limiti. Cresci con negli occhi certi esempi, e verrebbe facile riprodurre certi cliché. La cosa più difficile però, per me, è stata quella di girare e allo stesso tempo non mancare al saggio di danza di mia figlia! Ho dovuto viaggiare di notte.

Come, o quando, avete sentito esser diventati davvero una coppia?

P: Secondo me quando abbiamo girato la scena del ballo. Siccome Il mio personaggio apre una scuola di tango, io e lui abbiamo dovuto imparare, ovviamente in modo superficiale, un po’ di tango. E mentre ballavamo abbiamo costruito questo rapporto di passione, di sguardi, che non volevamo fosse un cliché.

V: E’ stata la seconda scena che abbiamo fatto, e provare quel tango ci ha dato la possibilità di trovare la misura giusta… Quando si gira, poi, le pause sono tante, abbiamo avuto tempo di chiacchierare e conoscerci meglio. Io comasco, lui veneto, siamo sicuramente uniti dal tempo che abbiamo dedicato a questo mestiere. Non siamo più giovincelli.

Nel film, come se non bastasse, vi hanno anche aumentato gli anni!

V: Ma va bene, perché poi ti dicono che ne dimostri meno e che sembri più giovane

Antonio e Didier cambiano molto nel corso del film?

P: A differenza di Antonio, Didier non ha un arco in cui si sviluppa, è un personaggio abbastanza definito, e poi alla fine ha una svolta, di cui sicuramente non posso parlare. 

V: Avevamo indicazioni differenti dal regista, su come giocare con i nostri personaggi… Anche se non sveliamo nulla dicendo che sicuramente le scene più difficili son state quelle di sesso.

P: Sesso rovente!

Un regista esordiente, come vi ha convinto?

P: Io mi sono convinto leggere la parte, era interessante e divertente, e offriva la sfida di recitarla proprio evitando i cliché che dicevamo. Davide mi ha fatto una ottima impressione da subito, poi ci siamo incontrati con gli altri e abbiamo fatto subito delle prove.

V: Quando ho ricevuto la proposta, ho letto la sceneggiatura e solo dopo mi sono accorto che lo conoscevo già perché anni fa feci un film in cui Davide era aiuto regista. Mi conobbe lì e quando ha scritto questo personaggio ha pensato a me e me lo ha proposto. Per questa mia seriosità, un carattere lievemente burbero, che poi in realtà è da ‘burbero benefico’ di Goldoni.

Grazie a lui se finalmente vi siete incontrati dopo tanti anni di carriera, insomma?

P: Sì, e non sarà l’ultima.

V: Almeno questo è l’auspicio.

Cosa portate via da questo set, a parte le camicette di seta?

P: Vorrei tanto, ho anche chiesto se fosse possibile, ma temo mi toccherà restituirle!

V: A me piacerebbe che alla fine di tutta questo operazione restasse il ricordo di un bel lavoro, fatto bene. E con successo, ci auguriamo, incrociamo le dita. E poi chissà… di questi tempi continuano a fare serie, vai a sapere…

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