Mi rifaccio vivo È stato presentato oggi al cinema Adriano di Roma l’ultimo film di Sergio Rubini, Mi rifaccio vivo , prodotto da Fandango e Rai Cinema e distribuito in 300 copie da 01 Distribution. Intervengono oltre al regista e al produttore Domenico Procacci, Paolo del Brocco per Rai Cinema, il co-sceneggiatore Umberto Marino e il cast quasi al completo: Emilio Solfrizzi, Neri Marcorè, Lillo, Vanessa Incontrada, Margherita Buy, Valentina Cervi e Enzo Iacchetti.

 

A Sergio Rubini.

Nelle note di regia scrivi che l’erba del vicino non è sempre la più verde. L’idea del film parte da questa considerazione?

Io sono partito dall’idea di fare un film sulla pacificazione, sul deporre le armi e mettere fine agli antagonismi. Mi rendo conto che è  un film in linea con i governissimi, però è esattamente quella la mia idea: è arrivato il momento di fermare i conflitti e arrendersi all’idea che il nostro nemico va conosciuto e disattivato attraverso la conoscenza. Mi sembra un tema che ha assolutamente a che fare con l’attualità. È arrivato il momento di comprendere che ciò che ci insospettisce del nemico dipende dal fatto che non lo conosciamo. Ed ecco che l’erba del vicino allora ci sembra più verde, ma se vivessimo a casa del nostro vicino vedremmo che l’erba del suo giardino è  come la nostra, che lui non è quel nemico che ci siamo sempre immaginati, ma è meno cattivo , meno arrogante, ci fa anche simpatia e se è nei guai possiamo anche decidere di aiutarlo. Il film in questo senso ha anche un lieto fine. Da ragazzino il finale positivo in qualche modo mi insospettiva; il cinema, quando era profondo, sembrava dovesse avere necessariamente un finale sospeso. Invece, con l’età e con quello che mi vedo intorno credo che un lieto fine sia l’indicazione di un percorso; è un cinema meno voyeristico quello che indica una pacificazione finale perché significa anche essere meno vili, suggerire una strada e prendersene la responsabilità. Trovo che il lieto fine oggi sia un atto di coraggio. Sono partito da questi presupposti e mi sembrava che per raccontare una parabola così estrema la commedia fosse l’unico genere possibile perché l’antagonismo femminile è più nero, ha anche degli elementi un po’ ancestrali, tumultuosi, mentre l’antagonismo maschile fa ridere perché gli uomini sono galli che si azzuffano in un cortile.

Mi rifaccio vivo posterCome ha scelto gli attori?

Sono partito anche dall’idea che il film dovesse avere elementi da commedia slapstick, con una comicità fisica. Ho pensato quindi ad Emilio che sa essere fisico nella sua comicità e ha la caratteristica dei comici di una volta che erano dei cascatori. Ho cercato di creare il film intorno a lui e quindi sono andato a scovare tra i suoi amici il suo antagonista, Neri, e così anche gli altri attori con cui doveva interagire. Mi sono trovato benissimo anche con Lillo.

Con i comici non ci avevo mai lavorato. Si dice sempre che i comici ti rubano la scena, che sono affetti da protagonismo. Mi ricordo, una volta tanti anni fa, feci un film Gassman e lui mi raccontò che aveva fatto due film con Sordi ed entrambe le volte gli aveva dovuto dire: ‘Albè finiscila se no te spacco la faccia’. Sembrava che Sordi nei controcampi non gli lasciasse spazio, lo facesse sbagliare. Invece, io ho incontrato dei comici diversi, generosi, capaci di condividere una bellissima avventura e capaci di sostenermi nei momenti più complicati. Poi intorno a loro ho messo attori con cui ho lavorato più volte, come Margherita e Valentina; loro suggeriscono una nevrosi, una femminilità compulsiva alla quale volevo contrapporre una femminilità più leggere, più compiuta e così ho pensato a Vanessa Incontrada. Iacchetti invece è un attore che gronda umanità appena muove un muscolo ed è stata una piacevolissima sorpresa.

Hai parlato di una commedia che in qualche modo possa disinnescare alcuni conflitti, ma con i tuoi co-sceneggiatori hai scelto di aggiungere una componente non così comune nel cinema italiano, una commedia con una componente fantastica. A che punto avete pensato che questa potesse essere la chiave, il tono del vostro racconto?

L’abbiamo pensato subito perché il film nasce con l’idea di mettere in scena una seconda opportunità. Questa è un po’ l’idea del cinema che ho io; mi piace il cinema che non racconti necessariamente la realtà, soprattutto perché oggi viene raffigurata in maniera fredda, o che non la racconti  attraverso metafore, anche le più disparate. In questo senso va dato valore alla Fandango che nel momento in cui si fa la commedia in Italia, mi ha lasciato fare una commedia che non è di costume ma ha un impianto forse più come le commedie sofisticate, che fanno il verso alla commedia francese, al vaudeville. Insomma, rispetto al cinema che non mette in scena soltanto la realtà, mi sembra che questa sia è una sottile epifania. È una grande opportunità del cinema poter raccontare non solo ciò che si vede, ma anche quello che sfugge allo sguardo.

A Domenico Procacci. Perché ha scelto di produrre questo film?

Lavorando sulla commedia, che è un genere che la Fandango sta frequentando più che altro in questi ultimi anni, il tentativo è anche di cercare un’originalità in ciascun film. La sensazione un po’ generale di questo momento è che tutti stiamo cercando di dare al pubblico ciò che vuole, finendo col fare tutti lo stesso film. Noi abbiamo cercato, invece, qualcosa di particolare e la storia di Sergio aveva una forte originalità , quindi non è stata una scelta difficile dal punto di vista artistico. Poi l’idea di cast che portava era già molto bella. Ci tengo a ringraziare Rai Cinema e la banca Monti dei Paschi di Siena per il sostegno e la fiducia.

Nella sale il 9 Maggio.

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