Il maestro della commedia americana oggi compie 75 anni. Quarantatre film all’attivo da regista, di cui 38 anche come attore. L’ultimo film girato pochi mesi fa a Parigi: Midnight in Paris, con Adrien Brody, Kathy Bates, Owen Wilson, Marion Cotillard e Rachel McAdams. E soprattutto con Carla Bruni, una scelta che – a 18 anni da quando lasciò Mia Farrow per mettersi con Soon-Yi, la figlia adottiva 35 anni più giovane di lui – lo ha di nuovo proiettato in una situazione per lui scomoda e insolita: al centro dell’attenzione dei paparazzi e dei tabloid del pettegolezzo.
Ma soprattutto, ancora tanta voglia di vivere e lavorare. Come dimostra questa intervista rilasciata a La Stampa. Ancora auguri maestro!
Ci parli delle supposte scene di gelosia del marito, del
presidente francese Nicholas Sarkozy?
«È venuto sul set una volta, gli ho dato le cuffie per seguire ed
era molto soddisfatto della moglie. Sono scioccato da ciò che ho
visto in televisione e letto sui giornali, sono abituato alle
follie del giornalismo sulle celebrità, ma questo ha superato
tutto. Invenzioni assurde e che mi hanno fatto riflettere, pensare
se anche ciò che leggo sull’Afghanistan o sull’economia non sia una
completa invenzione».
Nel suo film in uscita dopodomani in Italia una parte
fondamentale ce l’ha una chiromante. Lei crede ai chiromanti?
«Ho conosciuto molte persone intelligenti che si affidano ai
veggenti. Mi è sempre sembrato ridicolo, ma poi ho iniziato a
pensare: meglio avere qualcosa che niente. Solo che io non ci
riesco».
E allora che cosa fa?
«Quando ci penso mi prende il panico e così mi cerco delle
distrazioni. Mi butto sul lavoro. O guardo lo sport e mi domando se
gli Yankees vinceranno o se Federer ce la farà o se il nuovo film
di Scorsese sarà bello».
Pessimista, come sempre…
«Ma è una questione di realismo, di fredda analisi scientifica.
Tutti passano la vita a cercare un significato, alla ricerca del
grande amore e di esaudire una qualche ambizione, ma il 99 per
cento di noi arriva alla morte senza risposte. Vogliamo delle
spiegazioni, ma ci sono elementi della vita e della condizione
umana che restano incomprensibili, e questo è ciò che ho cercato di
mostrare col mio film. È triste che sia così, ma da un punto di
vista drammatico è interessante».
La psicoterapia l’ha aiutata?
«Un po’ sì, dopotutto conduco una vita attiva, sono relativamente
sano e non uso antidepressivi. Ma, come ho già detto, ci sono
domande cui non possono rispondere i filosofi o gli economisti o i
politici o gli zii saggi e nemmeno gli psicoanalisti.
Apparentemente, siamo qui per soffrire».
Anche il cinema è un po’ una psicoterapia?
«È soprattutto una fuga. Da ragazzo, quando volevo scappare, andavo
al cinema. Ora faccio lo stesso, mettendomi dall’altra parte della
macchina da presa».