Come tutti i film brutalmente storpiati dalla distribuzione italiana, The Edge of Seventeen – da noi tradotto con 17 anni (e come uscirne vivi) – è una deliziosa e intelligente commedia adolescenziale che finirà per passare inosservata. Al contrario del titolo fuorviante, l’opera prima della regista Kelly Fremon Craig non dipana un decalogo di sopravvivenza ai difficili anni del liceo ma affronta con un approccio fresco al genere, quel teen movie ormai in via d’estinzione, il rito di passaggio di un’adolescente, interpretata da Hailee Steinfeld: per Nadine Franklin, diciassettenne cinica ed emarginata, il coming of age coincide con il dramma di una perdita e con il desiderio di perdere la verginità spinta dalle prime pulsioni sessuali verso il compagno di scuola Nick; qualche anno prima la morte prematura del padre, a cui era molto legata, la getta in uno stato di rifiuto verso la famiglia (composta da una madre stravagante e un fratello maggiore che ricalca la figura dell’atleta sensibile, il jock) e l’universo scolastico, luogo di eterna infelicità e insuccesso. Qui trascorre tutto il suo tempo con l’amica d’infanzia Krista e con il signor Barner, l’insegnante “confidente”.
17 anni (e come uscirne vivi) racconta gli eredi di John Hughes
17 anni (e come uscirne vivi) raccoglie l’eredità del cinema teen americano, specialmente quella legato ad autori come John Hughes, avvicinandosi tramite citazioni più concettuali che visive: la regista aggiorna infatti le tematiche classiche del teen movie all’epoca contemporanea, dove vige ancora una netta divisione in categorie (ragazzi popolari e outsider) e l’esperienza adolescenziale è regolata dal principio della visibilità, sempre in termini di buona e cattiva reputazione. Con l’unica differenza che Nadine sceglie la solitudine, isolandosi dal resto della società in cui vive. Questa emarginazione autoinflitta può essere davvero il carattere distintivo di una nuova generazione di teenagers, molto più aggressiva e consapevole dei ragazzi di Breakfast Club e Sixteen Candles; a parte un elemento di pronunciata sessualità, assente o quasi nei film degli anni Ottanta, la regista sembra sostenere l’idea che oggi, bombardati e sovrastimolati da tecnologia e modi sbagliati di relazionarsi con adulti e coetanei, i teenagers siano in pieno controllo della propria esistenza ma che non trovino il canale adatto per esprimersi.
17 anni (e come uscirne vivi) è cinema teens 3.0
Nadine è un personaggio tanto fragile quanto antipatico, un’anti-eroina che vorremmo ripetutamente schiaffeggiare, eppure, sarà per la genuina interpretazione di Hailee Steinfeld, sarà per la scrittura mai superficiale, o per lo sguardo realmente smaliziato della regista (classe 1981, conosce bene gli scenari che racconta), 17 anni (e come uscirne vivi) risulta meno detestabile della sua protagonista. Cinema teen 3.0, dopo l’exploit di Hughes e il ritorno al vertice con Mean Girls e Easy A, che non ha paura di evitare facili indulgenze e trova proprio in questo il suo punto di forza.