A Casa Tutti Bene: recensione del film di Gabriele Muccino

A Casa Tutti Bene

Con A Casa Tutti Bene, Gabriele Muccino torna a dirigere un film italiano dopo la parentesi statunitense. Per farlo si avvale di un grande cast corale che dà vita a un vario ventaglio di personaggi. Muccino torna al genere di film che lo ha reso famoso, ricco di passioni e maschere d’ipocrisia, un tipo di storia che gli sta a cuore.

 

A Casa Tutti Bene segue la vicenda di una grande famiglia, che si ritrova a festeggiare le Nozze d’Oro dei nonni sull’isola dove questi si sono trasferiti a vivere, Ischia. Un’improvvisa mareggiata blocca l’arrivo dei traghetti e fa saltare il rientro previsto in serata, costringendo tutti a rimanere sull’isola e a fare i conti con loro stessi, con il proprio passato, con gelosie mai sopite, inquietudini, tradimenti e inaspettati colpi di fulmine.

La famiglia è il cuore della storia, da cui tutto nasce, cresce, si allontana e torna. Attraverso la famiglia, Muccino desidera parlarci della società, cercando di fornire un ritratto delle dinamiche che da sempre scuotono l’animo umano. Lo fa ponendo in scena una moltitudine di rapporti diversi tra loro, che vanno a costruire una maschera d’ipocrisia che è tuttavia destinata ad infrangersi, svelando il marcio che vi è nascosto sotto.

A Casa Tutti Bene, il film

A Casa Tutti BeneAmbientando il film quasi in un’unica location, il regista pedina, anche ossessivamente, i suoi personaggi, per smascherarli, sottoporli a una vera e propria indagine, mostrandone fragilità e negatività. La sua regia, ma attraverso virtuosismi e piani sequenza che consentono una maggiore continuità, ottiene il risultato di comporre visivamente una buona storia, supportata da un cast che svela buone interpretazioni. Tra tutti spiccano Pierfrancesco Favino, uomo tormentato dai suoi matrimoni e in procinto di esplodere, e Massimo Ghini, a cui è affidato un ruolo apparentemente più piccolo ma che nella sua compostezza sa trasmettere più di un’emozione.

Ciò che però frena A Casa Tutti Bene , è la sceneggiatura, e nello specifico i dialoghi, troppo costruiti, che conferiscono al film un tono enfatico e fuori contesto. Tutto ciò porta in più occasioni i personaggi o trasformarsi in macchiette, caratteristica sostenuta anche dall’idea di base del film, poco originale. Momenti di comicità involontaria spezzano in più occasioni ritmo e atmosfera, generando così un’opera altalenante.

Che il film e le tematiche trattate siano un’urgenza di Muccino appare chiaro, così come la sua volontà di narrare la complessità dell’animo umano e delle relazioni che a qualsiasi età lo sconvolgono. Ischia dal canto suo diventa splendido luogo metaforico tra la bellezza della natura e la negatività che si sprigiona tra chi vi è rimasto prigioniero. Si avverte però l’inadeguatezza della scrittura di sorreggere il peso di queste premesse e questo si ripercuote sull’attenzione dello spettatore.

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Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
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