Ad Astra, recensione del film con Brad Pitt #Venezia76

trailer ad astra venezia 76

Un doloroso rapporto tra padre e figlio, che si spinge fino ai confini del sistema solare e dell’universo conosciuto, è al centro dello spettacolare Ad Astra, film di James Gray, proiettato in concorso nella seconda giornata della 76° Mostra d’Arte Internazionale del Cinema di Venezia.

 

Roy McBride, interpretato da un convincente e dolente Brad Pitt, è un esperto cosmonauta con decine di missioni valorose portate a termine, grazie al suo carattere freddo e controllato, che sembra in grado di nascondere anche le emozioni più intime. Dopo un grave incidente, legato a una serie di cataclismi che arrivano dallo spazio più profondo, viene incaricato di partire per ritrovare suo padre, scomparso misteriosamente trent’anni prima e legato tragicamente a tali eventi.

Roy intraprende un periglioso viaggio per ritrovarlo e tentare di svelare un mistero che minaccia la sopravvivenza della Terra e che potrebbero svelare la natura dell’esistenza umana e il ruolo dell’essere umano  nell’universo. Ma i sentimenti profondi, i dubbi, i drammi interiori, i traumi rimossi, riaffiorano a poco a poco, parallelamente all’allontanamento dal pianeta natale e dalle sue radici.

James Gray racconta di aver riflettuto a lungo su una frase di Arthur C. Clarke, autore di 2001: Odissea nello spazio, che sosteneva: “Esistono due possibilità: o siamo soli nell’universo, o non lo siamo. Entrambe sono terrificanti”. Si è reso conto di non aver mai visto un film che sottolineasse la presenza e la solitudine dell’essere umano nell’universo e che sarebbe stato assai stimolante lavorare su un tema così sconfinato, ma allo stesso tempo intimo. Ha così raccontato di un mondo futuro, ma non troppo, dove i viaggi sulla luna, o su Marte e Nettuno sono ormai una consuetudine e dove la colonizzazione spaziale, il consumismo e la brama di possesso hanno spostato i confini fino all’inverosimile. Inoltre ha così avuto modo di indagare sul desiderio di fuggire e di come i viaggi, quelli lunghi e in questo caso verso nuovi mondi sconosciuti, siano spesso un’ occasione di fuga mascherata da atto eroico.

Gli spunti narrativi di partenza di Ad Astra sono assai intriganti e di grande potenzialità, ma sono purtroppo soffocati da una serie di soluzioni forzate, che allontanano continuamente dalla sospensione dell’incredulità che dovrebbe regnare in un film di questo genere. Espedienti da cinema colossale e catastrofico, come l’antimateria e gli ordigni nucleari, si mescolano con pirati lunari e scimmie da laboratorio ribelli, riconducendo quello che poteva essere un originale viaggio nello spazio e nel profondo della natura umana all’ennesimo film spettacolare intergalattico di probabile incasso al botteghino.

L’elaborazione del lutto, la riflessione sull’atto eroico e sull’etica dell’esplorazione scientifica e Il delicato e complesso rapporto padre-figlio, divengono una mera cornice per nobilitare incidenti spaziali, scontri armati e disastri galattici. Non basta a sollevare la storia il misurato e convincente tormento interiore di un pacato Brad Pitt, o la lucida follia di Tommy Lee Jones, che interpreta il padre sperduto da decenni verso l’infinito e oltre, ma relegato a un ruolo appena abbozzato, che prevede ciò che accadrà fin dai primi minuti della storia. Anche molti ruoli secondari sono tenuti a margine e di conseguenza risultano addirittura superflui, come quello di Liv Tyler, la moglie dell’astronauta, o di Donald Sutherland, un anziano generale che lo accompagna nella prima parte del viaggio.

Ad Astra è una storia spettacolare che non deluderà gli appassionati del genere e gli ammiratori di Brad Pitt, ma che avrebbe certamente meritato più introspezione e forse anche astrazione, per centrare l’intento iniziale che James Gray voleva, ovvero una dimensione intima per descrivere la storia di un padre e di un figlio, per far comprendere alle persone che proteggendo i legami umani si compie un primo fondamentale passo per preservare l’universo in cui viviamo dispersi.

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