Anita B. recensione del film di Roberto Faenza

Anita B. recensioneA ridosso della giornata della memoria arriverà al cinema l’ultima fatica del regista Roberto Faenza, Anita B., una storia che sottolinea l’importanza dolorosa e pesante del ricordo e l’evocazione del passato con tutte le sue conseguenze.

 

Anita (Eline Powell) è una ragazza ebrea appena scampata all’eccidio dei campi di sterminio; viene accompagnata dal giovane Eli (Robert Sheehan) a casa della zia Monika (Andrea Osvàrt), in Cecoslovacchia. Qui la ragazza cerca di rifarsi una vita, ma l’ostilità del mondo esterno la schiaccia e l’odio comincia a serpeggiare perfino nella sua nuova famiglia.

La pellicola non vuole arricchire l’ampio filone dedicato al tema dell’Olocausto: parlando di un argomento così delicato è facile cadere nella retorica, e proprio per tale motivo Faenza confeziona un prodotto che cerca di andare oltre, raccontando una storia personale di prigioni fisiche e morali, illustrando nel migliore dei modi un viaggio umano e spirituale alla ricerca del proprio Io in un mondo costellato di odio e rancore, costruito sulle ceneri di un atroce conflitto.

anita b. recensione posterNell’aspetto esteriore il film può sembrare un melò girato con un linguaggio più o meno convenzionale, che serve però a rendere più solida la struttura diegetica: la convenzionalità delle immagini e della narrazione poggiano sulla forza di alcune interpretazioni, prima fra tutte quella del talentuoso Robert Sheehan che veste i panni dell’ambiguo Eli, che per quanto dotato di una moralità ambigua alla fine del film non riesce ad essere condannato perché nella scacchiera della Storia non ci sono né vincitori, né vinti, ma solo vittime: ognuno, poi, cerca a suo modo di rispettare il precetto fondamentale della vita ebraica, quell’imperativo morale che impone di vivere fino in fondo l’esistenza.

Il personaggio di Eli, classico Jewish Guy che affonda le radici nella letteratura e nel cinema ebraico- americani del XX secolo fa da controparte alla fragilità della protagonista Anita, alla disperata ricerca della sua vera identità, cancellata dopo la prigionia. Ma il processo di auto- consapevolezza è doloroso e passa attraverso prove ancora più difficili ed ardue, e nessuno è in grado di condannare o giudicare i comportamenti dei personaggi perché, in fin dei conti, tutti loro stanno cercando di ritrovarsi sul fondo paludoso dell’abisso.

Per Anita la speranza è appesa  al filo sottile col passato che non si spezza, alla voce lontana dei padri e della Yiddishkeit che la spingono a cercare, disperatamente, il proprio posto nel mondo.

Ispirato al romanzo semi- autobiografico di Edith Bruck, Quanta Stella c’è nel Cielo, Anita B. è il racconto di un viaggio nelle sfaccettature dell’Io e dell’anima, un erede diretto dei precedenti lavori di Faenza come Jona che Visse nella Balena o Prendimi L’Anima, costituendo con essi una sorta di ideale trilogia dell’identità umana messa a dura prova dai drammi dell’esistenza.

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Ludovica Ottaviani
Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Ventiquattro anni, di cui una decina abbondanti passati a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Collabora felicemente con Cinefilos.it dal 2011, facendo ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.