Automata: recensione del film con Antonio Banderas

Automata

Forse ancora troppo legato a tale discendenza letteraria, ma capace quantomeno di una sapiente dosa di coraggio visivo, Gabe Ibáñez realizza Automata, una pellicola che tratta tematiche profonde inerenti ad un futuro per nulla lontano, un mondo in cui la convivenza fra macchine e uomini potrà far sorgere conflitti etici profondi.

 

Automata, la trama

In Automata in un mondo futuro in cui la desertificazione ha reso arida gran parte della Terra, i robot sono stati impiegati per aiutare gli esseri umani nei compiti più difficili. Jacq Vaucan, un agente assicurativo, viene incaricato di investigare su una serie di strani avvenimenti riguardanti una possibile violazione degli impenetrabili codici di sicurezza utilizzati per evitare che i robot possano divenire pericolosi, dovendo ben presto fare i conti con una realtà assolutamente inaspettata. Gran parte del cinema di fantascienza degli ultimi decenni ha dimostrato un rapporto di discendenza più che profondo con le avvenieristiche profezie sull’intelligenza artificiale contenute nelle opere di Isaac Asimov, non a caso considerato il padre dell’immaginario robotica contemporaneo.

Automata

Automata non brilla certo di originalità, così come dimostrano i riferimenti più o meno espliciti a pellicole topiche del genere, a cominciare dall’estetica steampunk di Brazil e il mito cyberpunk di Blade Runner (dove l’ammiccamento alla testuggine allude a ben altro che il semplice lavoro citazionistico). Allontanandosi dalle tinte melodrammatiche de L’uomo bicentenario e dalla scoperta dell’infanzia di A.I., il film preferisce comunque intraprendere due tematiche parallele; quella dell’auto-coscienza di una macchina, con tutti i sentimenti che essa comporta, e il versante morale sui pericoli di una mente artificiale già visti in Io, Robot, dimostrando l’intento lodevole di volersi elevare a opera didattica ma non riuscendo appieno nell’impresa di tradurre tutto ciò per immagini, finendo per dar vita ad un racconto la cui compattezza e intensità finiscono progressivamente per sfilacciarsi nel tempo. Si indugia forse un po’ troppo sui pur eccellenti effetti visivi, nei quali appare più che evocativa l’immagine dei robot privi dalla propria maschera meccanica, simbolo di una nuova identità autonomia.

Antonio Banderas si trova a dare corpo ad un personaggio che interagisce per oltre la metà del film con esseri artificiali, un personaggio però privo di una psicologia ben definita in cui comunque traspare il profondo legame uomo-macchina che diviene il fil rouge dell’intera pellicola. Poco più di una comparsata è quella che invece tocca a Melanie Griffith, la quale non ha abbastanza tempo per dar sfogo al suo talento all’interno di un film in cui il sostrato ambientalista finisce col tempo per apparire più pedante del necessario, facendo sfoggio comunque di un vero cast di eccezione. Forse non innovativo ma sicuramente interessante, Automata è un ennesimo tentativo di parlarci di come umanità e tecnologia prima o poi dovranno confrontarsi.

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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
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