Bellissime, recensione del documentario di Elisa Amoruso #RomaFF14

Nello stesso anno in cui ha realizzato il documentario evento su Chiara Ferragni Unposted, presentato alla Mostra del cinema di Venezia 76, Elisa Amoruso realizza un secondo documentario sull'apparire.

bellissime

Quattro donne, due generazioni diverse, una caratteristica: tutte e quattro bellissime. E la bellezza è un mezzo per lavorare, per esistere, per riconoscersi, attraverso gli occhi degli altri.

 

Nello stesso anno in cui ha realizzato il documentario evento su Chiara Ferragni Unposted, presentato alla Mostra del cinema di Venezia 76, Elisa Amoruso realizza un secondo documentario sull’apparire, in cui però l’avvenenza è l’unico mezzo di esistenza.

Bellissime viene presentato nella selezione ufficiale della sezione parallela della Festa del cinema di Roma, Alice nella città, che come ogni anno seleziona pellicole attente ai giovani o a loro dedicate, come appunto questo documentario. 

Nella vita delle tre sorelle Giovanna, Valentina e Francesca, lunghi capelli biondi e una madre esuberante e decisa esiste solo ciò che lo specchio rimanda indietro, o che l’addetta al casting dice.

Il padre è una presenza fantasmatica che è presente solo per fare andare avanti questa macchina, di cui si scopre nello svolgimento del documentario, la madre è l’artefice principale.

Foto, video, specchio. Poco altro esiste. Non ci sono amici, scuole, attività che evadano dalla continua e, agli occhi di chi guarda, soffocante ricerca di se stesse attraverso l’occhio altrui.

Il riconoscimento, che la madre delle tre ragazze non ha mai ricevuto da sua madre diventa un fuoco che non si spegne, che le dà la forza per spostare ogni cosa per fare in modo che le sue ragazze riescano, abbiano successo, vengano notate.

Con una storia ordinaria di provincia, la Amoruso parla di due generazioni: quella dei millennial che sono nati e cresciuti nell’epoca del “video ergo sum” e quella dei loro genitori, cresciuti nell’Italia del boom, ma anche nell’Italia operaia e lavoratrice, fatta di persone che ora hanno più forze e opportunità ma che si scoprono fragili e affamate.

Questa è la distanza con il quasi omonimo film di Luchino Visconti, Bellissima, nel quale negli anni ’40 una madre affamata ma di fame vera, spera che le qualità estetiche della figlioletta possano aiutarla a portare il pane a casa, letteralmente.

In questo caso, invece, la fame è quella per l’identità, che è l’argomento di ricerca di questo documentario, e non è una ricerca semplice, se non si hanno delle basi forti.

- Pubblicità -