Blood: recensione del film di Nick Murphy

Blood

Un’ambientazione suggestiva e un cast di alto livello: queste le carte vincenti che Nick Murphy si è giocato in Blood, seconda prova del regista britannico che nel 2011 si fece notare per 1921 – Il mistero di Rookford. Girato quasi interamente nella penisola di Wirral, dove Murphy trascorse la sua infanzia, il film si presenta come un thriller sui generis, in cui i legami famigliari e le tensioni tra i personaggi prendono il sopravvento sulla suspense.

 

In Blood in una piccola località nel Nord Est dell’Inghilterra, una 12enne viene brutalmente assassinata. I fratelli Joe (Paul Bettany) e Chrissie (Stephen Graham) sono a capo delle indagini, e accusano il già noto pedofilo del paese Jason Buliegh (Ben Crompton), condannato per molestie anni prima. Ma le prove non sono sufficienti e Jason verrà rilasciato. Convinti della sua colpevolezza, i fratelli Fairburn lo conducono sulla punta estrema della penisola per costringerlo a confessare. Ubriaco e accecato dal bisogno di fare “giustizia” (forse anche per lavare via il senso di colpa residuo di un caso precedente), Joe finirà per uccidere il sospettato, coperto e aiutato da Chrissie ad occultare il cadavere. Quando il vero omicida della ragazza viene preso e inizia la caccia ai giustizieri dell’innocente Jason, i due si troveranno di fronte all’impossibile compito di incastrare se stessi.

Basato sulla serie tv del 2006 “Conviction”, l’opera seconda di Murphy calca la mano sui grandi temi del bene e del male, mai del tutto contrapposti, e sul motivo dominante della colpa. Questa, insieme alla sensazione di non avere alcuna via di scampo, sarà la molla che farà precipitare Joe e Chrissie in un vortice di paranoie, consapevoli che il loro mondo, un tempo costruito su regole ferree e senso del dovere, è ormai crollato. A ciò si unisce un’acuta analisi del rapporto con l’ingombrante figura paterna, l’ex capo della Polizia e ormai demente Lenny (Brian Cox), sulle cui orme i due fratelli hanno voluto/dovuto forgiare le proprie esistenze, ognuno a modo suo. Un tentativo di replicare un modello di vita che si scontrerà presto con la tragica imprevedibilità del vissuto.

C’è poi la messa a fuoco dei legami famigliari di Joe, il suo evidente disagio di fronte alla sessualità di una figlia adolescente la cui età è di poco superiore a quella della vittima. La perdita di controllo di chi sino a quel momento era sempre stato dalla parte del “bene” è dunque da collegarsi a paure personali, oltre che ad un semplice (ed eccessivo, certo) senso della giustizia.

Magistralmente supportato dalla fotografia di George Richmond e dalle musiche di Daniel Pemberton, Blood mostra qua e là qualche crepa nei dialoghi, prevedibili e privi di spessore, ma recupera ampiamente con le interpretazioni di un cast tutto anglosassone. Accanto alle ottime prove di Paul Bettany e Graham, si distingue la recitazione asciutta e decisa di Mark Strong, perfetto nella parte del solitario Robert. Splendide le panoramiche dell’isola, metafora di una realtà sospesa, lontana dalle regole sociali e per questo “adatta” ad ospitare crimini che rimangono impermeabili allo sguardo della comunità. Murphy avrebbe potuto osare qualcosa di più, nell’intreccio (a tratti un po’ piatto) come nello studio del protagonista, ma è riuscito comunque a dar vita ad un thriller di tutto rispetto, un poliziesco psicologico dai risvolti tanto amari quanto morbosi.

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Ilaria Tabet
Laureata alla specialistica Dams di RomaTre in "Studi storici, critici e teorici sul cinema e gli audiovisivi", ho frequentato il Master di giornalismo della Fondazione Internazionale Lelio Basso. Successivamente, ho svolto uno stage presso la redazione del quotidiano "Il Riformista" (con il quale collaboro saltuariamente), nel settore cultura e spettacolo. Scrivere è la mia passione, oltre al cinema, mi interesso soprattutto di letteratura, teatro e musica, di cui scrivo anche attraverso il mio blog:  www.proveculturali.wordpress.com. Alcuni dei miei film preferiti: "Hollywood party", "Schindler's list", "Non ci resta che piangere", "Il Postino", "Cyrano de Bergerac", "Amadeus"...ma l'elenco potrebbe andare avanti ancora per molto!