Dopo la severa accoglienza negli Stati Uniti, arriva il 4 gennaio al cinema Collateral Beauty, dramma sull’elaborazione del lutto che vede protagonista Will Smith, circondato da un gruppo di attori di serie A, tutti orchestrati e diretti da David Frankel.
Dopo una tremenda tragedia personale, Howard (Will Smith) non riesce più a trovare un senso alla sua esistenza. Si chiude in se stesso e comincia a interrogarsi sul significato dell’universo, arrivando persino a scrivere delle lettere al Tempo, alla Morte e all’Amore. Grazie ai suoi amici e colleghi, preoccupati per lui e per le sorti dell’azienda che Howard aveva contribuito a creare, l’uomo riuscirà ad avere un confronto con queste entità universali e a trovare il suo modo di vedere la “bellezza collaterale”.
Collateral Beauty delude le aspettative
Capita spesso che ad aspettarsi grandi cose da un film ci si trovi poi delusi e a questa logica non sfugge certo Collateral Beauty che riesce puntualmente a disattendere ogni tipo di aspettativa riposta in una storia drammatica, diretta da un regista che ha dato prova di saper gestire i ritmi narrativi (vedi Il Diavolo Veste Prada), ambientata a New York nel periodo di Natale, con un cast di attori premiati, dotati e amati. Ebbene, il film di Frankel comincia a deragliare dall’inizio, da quando un gruppo di attori noti e carismatici è costretto a pronunciare dei dialoghi improbabili, e poco importa che siano Kate Winslet o Edward Norton, la credibilità della loro espressione non può nulla contro l’approssimazione con cui i personaggi vengono fatti interagire. E le cose non cambiano quando, con il forzato procedere della vicenda, questo cast si allarga arrivando a scomodare anche pesi massimi come Helen Mirren.
Avvezzo alla commedia, lo sceneggiatore Allan Loeb non riesce a trovare un tono, un’equilibrio all’interno di una storia in bilico tra realismo tragico e storia fantastica, tema romantico e rassicurante, che si sposa alla perfezione con il periodo dell’anno in cui è ambientato il film. Sembra quasi che lo sceneggiatore scopra con lo spettatore quello che piano piano accade e che non sappia dove andare a parare fino alla fine, quando la storia trova la sua schematica, inquadrata e naturale conclusione. E lo stesso vale anche per David Frankel che, pur avendo dimostrato grande abilità a gestire i ritmi della commedia, con il dramma, o meglio, con questo dramma in particolare è praticamente privo di qualsiasi ispirazione, tanto che non riesce nemmeno a sfruttare la naturale magia di una New York innevata e addobbata a festa.
Il cast sprecato di Collateral Beauty
Il 2016 non è stato certo un anno clemente per Will Smith, che dopo le critiche per Suicide Squad, si è trovato a gestire anche la pessima accoglienza a Collateral Beauty. L’attore, pur avendo mostrato notevoli doti in passato, qui assume un’aria contrita e monotona che non rende giustizia né a lui come interprete né al dolore devastante che prova il suo personaggio. Per non parlare del resto del cast che sembra sprofondare, anche se con grande stile, in una serie di dialoghi surreali. La Mirren riesce comunque a uscirne meglio degli altri, ma è presto detto se alle spalle si hanno tanti anni di esperienza e un talento smisurato, complice anche un ruolo vagamente più intenso rispetto a quello dei suoi colleghi, in particolar modo Keira Knightley e Edward Norton, che loro malgrado ricoprono il nodo narrativo più debole della storia. A completare il cast, ci sono Michael Pena, Jacob Latimore e Naomi Harris.
Pur lasciando spazio a riflessioni sui temi esistenziali e universali che mette al suo centro, Collateral Beauty non può neanche definirsi un’occasione persa, dal momento che non riesce a prendere una direzione, rimanendo sospeso tra realtà, finzione e magia, tanto che la rivelazione finale non solo non coglie di sorpresa, ma viene recepita con pigrizia dallo spettatore che percepisce l’approssimarsi della fine del film come una liberazione. Più che bellezza collaterale, che in definitiva resta un mistero, il film si ritrova a fare i conti con i danni collaterali che potrebbero esserci alle carriere dei protagonisti, alcuni reduci da prove difficili (come Smith) altri che hanno scelto decisamente un titolo sbagliato per tornare a farsi vedere al cinema (Norton).
Guarda il trailer di Collateral Beauty
Consigliato a un pubblico semplice e facilmente raggirabile, Collateral Beauty è un pasticcio drammatico, che finisce per svilire il serissimo argomento che tratta e, con un po’ di fortuna, finirà presto nel dimenticatoio dei film brutti.