Possiamo pensare alla danza come
alle parole di una poesia che, sfiorate dal vento, si staccano
dalla carta per prendere corpo? Maria Fux,
danzatrice, coreografa e danzaterapeuta argentina, sa che ogni
corpo contiene in sé una danza, che può farsi forma andando ben
oltre gli impedimenti fisici o mentali. Oggi è una pioniera seguita
da molti operatori, medici e psicologi, che hanno sperimentato la
validità del suo metodo, applicandolo con scopi riabilitativi e
terapeutici nel trattamento di persone con problemi sensoriali,
sindrome di Down e disagio psicologico.
Ormai ultra novantenne, Maria è capace ancora di infinita grazia,
mentre insegna la grande armonia che scaturisce dalla
consapevolezza del corpo come modificazione dello spazio, e dello
spazio come modificazione del corpo, in un incontro che diventa
mezzo d’espressione laddove le parole non bastano o non riescono a
bastare.
E con altrettanta grazia e
armonia, Ivan Gregolet trasforma l’insegnamento in
immagini, perdendosi tra i corpi che affollano lo studio di Maria,
accompagnato dalle musiche originali di Luca Ciut, mixati con il
sottofondo quasi sempre presente del suono d’ambiente in presa
diretta gestito con padronanza, che contribuisce bene a rendere
questo documentario un piccolo gioiello. Immagini e suoni, insieme,
ricompongono i pezzi di una poesia che sembra riemergere finalmente
nella memoria, come una melodia che esiste dentro di noi da molto
tempo, ma che non riuscivamo più a ricordare. Un documentario
piccolo, eppure così intenso perché intimo, del genere che si
dovrebbe andare in sala a vederlo da soli, senza distrazioni,
concentrandosi sul proprio corpo per proiettarlo nello studio di
Maria, che sembra dissolvere le paure con un gesto della sua
mano.
In uscita il 26 febbraio, Dancing with Maria è un ritratto che emerge dagli effetti che la personalità stessa di Maria produce sullo spazio. Ci racconta con semplicità la storia di una ballerina insolita, che dai palchi dei più grandi teatri di Buenos Aires, Stati Uniti, Polonia, Russia, Perù, Brasile e Uruguay, arriva in un piccolo ma grande studio, inseguendo l’idea di una danza che non è guidata dalla musica, ma dal mondo che ci circonda, una danza che può essere di tutti e per tutti.