Demolition: recensione del film con Jake Gyllenhaal

Non c’è nulla, almeno in apparenza, che turbi la perfetta esistenza di Davis Mitchell (Jake Gyllenhaal): una casa degna delle migliori riviste di design da condividere con la moglie Julia (Heather Lind) e una solida posizione come investitore nella società del suocero Phil (Chris Cooper). Tutto cambia con l’incidente d’auto che causa la morte di Julia, lasciando Davis prima anestetizzato dal dolore poi sempre più impegnato a smantellare la sua vita. Da queste premesse si sviluppa Demolition, con cui il canadese Jean-Marc Vallée torna a uno dei temi più cari della sua filmografia, quello della risalita, affrontato sia nell’acclamato Dallas Buyers Club (con il duo da Oscar Matthew McConaughey e Jared Leto) che in Wild con Reese Witherspoon. Ma se in questi titoli è soprattutto il corpo dei protagonisti a esprimere il travaglio verso una dolorosa rinascita, in Demolition sono gli oggetti che circondano Davis a rendere emblematico il suo percorso interiore di decostruzione totale.

 

Davis non riesce a esternare le sue emozioni come gli altri vorrebbero, ma riesce a imprimerle sulla carta delle lettere che invia all’azienda di distributori automatici colpevoli di averlo “tradito” in ospedale, subito dopo la scomparsa della moglie. A rispondere al suo grido d’aiuto è la responsabile del servizio clienti Karen Moreno (Naomi Watts), con la quale il protagonista instaura un profondo legame.

Demolition, il film di Jean-Marc Vallée

Demolition

Davis cerca di tornare in contatto con la realtà e con sé stesso per capire ciò che davvero si nascondeva dietro la fotografia della sua perfetta esistenza. Vallée rappresenta la sua ricerca con uno stile già evidente in Wild alternando il presente con brevi flashback, schegge di un passato con cui fare i conti. Se il punto di forza del film è l’ottima, intensa, performance di Jake Gyllenhaal, efficace nel restituire le diverse sfumature dell’alienazione emotiva del suo personaggio, a creare più problemi è la sceneggiatura di Bryan Sipe, troppo didascalica per parlare in maniera inedita o quantomeno potente di temi già ampiamente trattati dal cinema come quello dell’elaborazione del lutto o dell’incomunicabilità nei rapporti interpersonali.

La continua ripetizione del parallelismo tra distruzione degli oggetti e dolore porta a raffreddare il coinvolgimento dello spettatore, probabilmente disorientato dalla frammentazione della narrazione che accumula situazioni e personaggi, risolvendo i nodi del racconto con alcuni passaggi un po’ forzati. Il film richiama così la confusione del suo protagonista, ma non rende giustizia al ruolo di Naomi Watts e soprattutto a quello del figlio Chris (la giovane rivelazione Judah Lewis), le cui scene con Davis sono tra i momenti migliori del film. Per questo Demolition è un’occasione sprecata, che non riesce ad approfittare della forza del suo cast.

 

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