Due fratelli: recensione del film di Léonor Serraille

Annabelle Lengronne è una giovane madre protagonista di lungometraggio romanzesco su una famiglia ivoriana immigrata in Francia negli anni Ottanta.

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Dopo il passaggio lo scorso anno in concorso a Cannes 2022 finalmente arriva nelle nostre sale Due fratelli. Questo film di Léonor Serraille è il suo secondo lungometraggio dopo il debutto nel 2017 con Montparnasse – Femminile singolare. La regista e sceneggiatrice francese ha preso spunto per raccontare questa storia d’immigrazione, la vita stessa del suo compagno. In Due fratelli, in originale Un petit frere, è una pellicola strutturata in tre capitolo, uno per ciascuno dei protagonisti, che alla fine si uniscono perfettamente in un unico racconto tra le gioie e dolori di una mamma e il suo amore incondizionato per i suoi due figli.

La madre di Due fratelli

Rose, interpretata dall’attrice francese Annabelle Lengronne, è una giovane madre che alla fine degli anni Ottanta, in compagnia dei suoi bambini, il maggiore Jean e il minore Ernest, lascia la Costa d’Avorio per Parigi. Qui nella grande capitale europea, ospitata all’inizio da una coppia di parenti che vivono nella banlieue, la periferia parigina, inizia a lavorare come cameriera pulendo le camere di un hotel e cerca di crescere al meglio i suoi due figli. Questo primo capitolo intitolato proprio con il nome “Rose”, non mostra solo una mamma ma ragazza single che non rinuncia mai alla sua indipendenza anche se in qualche modo è alla ricerca costante dell’uomo giusto. Durante un giornata qualunque al lavoro Rose conosce Thierry e decide, di punto in bianco, di lasciare Parigi e inseguire l’uomo, di cui si è innamorata, trasferendosi con Jean e Ernest a Rouen, una cittadina portuale a Nord della Francia nella regione della Normandia.

I fratelli Jean ed Ernest

Qui finisce la parte di film con più presenza di Rose e inizia quella incentrata sul fratello maggiore Jean. Il giovane ragazzo crescendo si ritrova a fare da genitore al piccolo Ernest, perché la madre torna a Rouen, solo nei fine settimana e di riposo dal lavoro. Il secondo capitolo è anche un modo per mostrare l’angoscia adolescenziale e la sensibilità di Jean che cerca di gestire tutto da solo senza smettere di studiare o uscire con la sua ragazza. Il fratello maggiore si trasforma da promettente studente di prima classe con il sogno di diventare un pilota in un adolescente spericolato e confuso. Il terzo e finale capitolo di Due fratelli mostra Ernest in due fasi della sua crescita la preadolescenza e quella da giovane adulto come professore che insegna filosofia in un liceo parigino. Questa pellicola si conclude con un incontro toccante tra Ernest e sua madre Rose in una caffetteria dove lei però accusa il figlio minore d’essere diventato troppo “bianco”. 

Un petit frère. Léonor Séraille.

Un dramma francese dove non c’è solo l’immigrazione

La regista affronta per tutta la durata del film il difficile tema dell’immigrazione e lo fa in modo sensibile e non cadendo mai nei cliché. La questione razziale è sempre di sfondo ma non è il tema centrale, Léonor Serraille mostra invece due decenni di una famiglia ivoriana che ha scelto la Francia come un nuovo inizio e la possibilità per i due fratelli di aver un futuro migliore grazie allo studio. L’unica scena in cui si sbatte sul grande schermo il razzismo sistematico è solo un caso isolato verso il finale in cui Ernest adulto viene fermato, senza una logica, da due poliziotti in divisa che gli chiedono i documenti.

In Due fratelli si pone invece l’accento non sull’aspetto sociale ma sul vissuto individuale di ciascuno dei protagonisti. La regista sceglie una narrazione dinamica, che racconta le diverse fasi della storia, prima con la madre poi con il fratello più grande e poi il più piccolo, quello che più si è anche integrato nella società. La parte con per protagonista Rose sono forse quelli più complessi e più intensi, merito della sua interprete Annabelle Lengronne, magnetica nello sguardo e nella sua totale libertà di scegliersi lei l’uomo da frequentare o con cui divertirsi per il suo personale piacere. 

L’intensità del film diminuisce quando l’attenzione si sposta suoi capitoli intitolati “Jean” ed “Ernest”. Il risultato è un lavoro solvente, onesto, dallo sguardo sincero e non paternalistico, cinematograficamente molto buono, con particolari novità e possedendo un ottima fotografia firmata da Hélène Louvart. Per concludere le scene più belle visivamente sono quelle estive in cui si vedono entrambi i due fratelli, in capitoli diversi, in mezza la natura e in compagnia dei i loro amici e amiche. Una delle poche critiche che si può fare alla regista è proprio rinunciare alla presenza di Rose sempre più di sfondo e senza concludere il suo ciclo di narrazione.