Easy – Un viaggio facile facile recensione del film di Andrea Magnani

Easy – Un viaggio facile facile

Easy – Un viaggio facile facile, coproduzione tra Ucraina e Italia, dopo il grande successo ottenuto al festival di Locarno, uscirà nelle sale il 31 agosto, distribuito da Tucker Film.

 

Isidoro, detto Easy, è afflitto da una grave forma di depressione che lo inchioda a casa davanti alla playstation e lo solletica con continui e ossessivi pensieri suicidi. Ha un passato glorioso come pilota di go-kart e un abbandono inspiegabile avvenuto a un passo dal suo esordio in formula uno. Si ingozza di cibo spazzatura e psicofarmaci, ogni cosa è per lui un muro insormontabile. Ma un giorno suo fratello Filo, gli chiede, o meglio lo costringe, a intraprendere un viaggio alla guida di un carro funebre per riportare in Ucraina il corpo di un operaio morto nel suo cantiere. Costretto ad aiutare il fratello, Easy viaggerà verso est, dall’Ungheria all’Ucraina, vagando in terre dalla lingua incomprensibile, fino nel cuore profondo dei Carpazi, alla ricerca di quell’Isidoro che aveva dimenticato tanti anni prima.

Easy – Un viaggio facile facile è il film di esordio di Andrea Magnani, autore con un valido background di sceneggiatore per cinema e televisione, che con mano sicura e disarmante semplicità narrativa disegna un delicato, quanto poetico road movie dalle sfumature macabre. Il morto, come tanto cinema ci ha abituato a vedere, diviene una valente spalla muta, che costringe il personaggio e l’attore a un continuo confronto con se stesso, alla ricerca di sfumature sommerse, di intimità celate nel profondo dell’anima, ma al tempo stesso offre gustosi spunti grotteschi, permettendo di inscenare gag e momenti che impreziosiscono lo spartito filmico, permettendo così di allontanarsi dagli stereotipi pericolosi che la storia troppo spesso impone. Magnani riesce in tutto questo, costruendo una commedia delicata, che coinvolge e trasporta in terre apparentemente ostili e sconosciute, ma popolate da gente sincera, autentica e generosa.

Il film si regge interamente sulle spalle robuste dal bravissimo Nicola Nocella, purtroppo poco utilizzato dal nostro cinema. Nei novanta minuti del racconto, Nocella compie un viaggio attraverso l’Europa e dentro se stesso, rimanendo sempre misurato, intenso e alternando sapientemente ironia, malinconia, tristezza, paura, sconcerto, euforia. In poche parole costringe lo spettatore a volergli bene, un gran bene.

Gli altri personaggi, soprattutto quelli Ucraini sono azzeccatissimi, così convincenti da sembrare scelti casualmente sul posto, senza un casting e assecondando di volta in volta quello che il canovaccio narrativo richiedeva. Ma in realtà sono quasi tutti attori professionisti, di grande bravura e umanità.

Nella parte iniziale italiana figurano Libero De Rienzo e Barbara Bouchet, che seppure assai misurati e al servizio del progetto, rischiano di dare al film, in partenza, una deriva troppo “italiana”, che fortunatamente scompare magicamente una volta varcato il confine, facendo tirare un sospiro di sollievo.

Nelle immagini, nella narrazione, nell’atmosfera, si avverte un riverbero del cinema di Aki Kaurismaki e di Roy Andersson, forse di Jim Jarmush, ma anche di tanto cinema francese, anche se molti ravvisano similitudini con il Mazzacurati de Il Toro.

Altro punto a favore è sicuramente il finale, affatto scontato, che arriva dopo un crescendo orchestrato con grande sapienza. E non importa se questo sia avvenuto in modo istintivo, o sia stato pianificato dettagliatamente, o che sia stato forse conseguenza di una lunghissima gestazione del progetto, oltretutto bloccato per lunghi periodi a causa della guerra in Ucraina.

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