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Elegia Americana, recensione del film di Ron Howard

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Elegia Americana, recensione del film di Ron Howard

Insieme a Mank, a Il processo dei Chicago 7 e ad altri titoli che arriveranno a breve sulle piattaforme dell’on demand, Elegia Americana di Ron Howard è trai titoli che più di tutti stanno mirando alla stagione dei premi 2021, che, per ragioni “pandemiche”, è stata spostata alla primavera del prossimo anno invece che al tradizionale periodo di fine inverno. Dunque, anche il film di Howard, adattamento dell’omonimo romanzo autobiografico, arriva direttamente nelle nostre case, su Netflix, a partire del 24 novembre.

La storia è raccontata da J.D. Vance, secondogenito di Bev, donna sola e problematica, che cerca di crescere alla bell’e meglio i due figli, con J.D. c’è Lindsay, una ragazza intelligente e concreta, più grande di lui. Ad aiutare Bev con il suo carattere turbolento, la tendenza a fare le scelte sbagliate e i due figli, c’è Mamaw Vance, madre della donna difficile e nonna burbera ma che profonde un solido e testardo impegno nella salvaguardia dei ragazzi dalla sua stessa figlia. La storia ripercorre a ritroso l’adolescenza di J.D., la sua lotta personale per sollevarsi e staccarsi dall’eredità della famiglia, la sua ferma volontà di laurearsi a Yale, uno dei college più prestigiosi d’America, e l’ambizione di diventare avvocato. Tutto nell’arco di una sola giornata in cui è costretto a tornare a casa perché la madre è andata in overdose ed è in ospedale.

L’Elegia Americana che ha fatto flop negli USA

Accompagnato da una scia di critiche negative che arrivano da Oltreoceano, Elegia Americana è un realtà un bel film, una storia di riscatto solida, un racconto che fila dritto senza colpi di scena, un affresco familiare lungo tre generazioni, tutto raccontato dal punto di vista del protagonista e autore del romanzo da cui il film è tratto. Ma allora perché dagli USA si sono levate voci contrarie? Semplicemente perché Ron Howard, e con lui la sceneggiatrice Vanessa Taylor, mette da parte tutto l’aspetto sociale del romanzo originale e si concentra solo su quello intimo e personale, per cui il pubblico europeo è meglio disposto a raccogliere un racconto che si concentra su sentimenti universali e lascia da parte l’analisi sociale di un Paese straniero.

Il titolo stesso del film (e del romanzo) ci dà la chiave di lettura del racconto originale, ovvero Hillbilly Elegy: A Memory of a Family and a Culture in Crisis. Hillbilly è il nomignolo dispregiativo con cui in gergo si indicano le popolazioni originarie degli Appalachi, e Vance è un figlio delle montagne del Kentuchy, che per luogo comune sono considerate il luogo più arretrato di tutti gli Stati Uniti. Ebbene, il romanzo dà molta importanza quindi non solo al riscatto sociale di J.D. ma anche all’aspetto sociologico della sua presenza in un college di prestigio, con il suo retaggio familiare e culturale, aspetto che nel film è stato liquidato semplicemente da una battuta all’inizio della storia.

Due grandi interpreti: Glenn Close e Amy Adams

Hillbilly Elegy Amy AdamsCon buona pace di J.D., interpretato da Gabriel Basso, che è il protagonista e la voce narrante, il film si fonda principalmente sulle interpretazioni di Glenn Close e Amy Adams. Le due grandi attrici sono alle prese con due ruoli duri e difficili, sopra le righe, sono entrambe imbruttite, rese goffe dal personaggio che incarnano, messe alla prova da un ruolo gridato, in cui alzare la voce, picchiare duro, essere sgradevoli è quanto richiesto dalla storia. E nonostante entrambe siano in grado di dare vita a grandi interpretazioni misurate ed eleganti, anche di fronte alla ferocia delle due donne che interpretano, non fanno una piega e consegnano allo spettatore uno spettacolo di altissima qualità artistica.

L’apporto di Ron Howard è come al solito “invisibile”, il regista si mette completamente al servizio della storia, sceglie in molti momenti, soprattutto in alcune delle sequenze di colluttazioni, che sono anche le più dolorose emotivamente, di rimanere vicinissimo ai personaggi, ai loro volti feriti, alla loro sofferenza, risultato di un disagio sociale che però non viene mai davvero raccontato. Ad impreziosire questo lavoro discreto e impeccabile c’è Hans Zimmer, che per una volta mette da parte le sue musiche trionfali e, insieme a David Fleming, accompagna con delicatezza tutta la storia di J.D., la sua tenacia, il suo riscatto, la sua forza di volontà nello staccarsi e guardare avanti per non affogare e per darsi una possibilità.

Elegia Americana racconta gli affetti, la famiglia, nella sua declinazione problematica e turbolenta, ma allo stesso tempo racconta il coraggio di lottare per se stessi, nonostante quella famiglia, la forza che ci vuole a costruirsi una vita tutta nuova per sé, a realizzare un sogno, senza rinnegare se stessi ma lottando per quello in cui si crede.