Gamer: tu perdi lui muore – recensione

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Gamer: tu perdi lui muore – In un fantomatico (ma non troppo) futuro,  il produttore di videogames Ken Castle ha ottenuto un grande successo con Society,  un gioco in cui il tuo personaggio è un altro essere umano che sotto compenso si fa telecomandare.

 

All’universo ipercolorato di Society si contrappone quello di Slayer, altro real-game in cui chi può permetterselo paga per controllare dei condannati a morte che accettano missioni pericolosissime con la speranza di giungere alla fine del gioco vivi ed ottenere in premio la liberazione. L’eroe di Slayer, Kable, arrivato alla sua 29 vittoria capisce che per superare la 30esima e ultima battaglia, deve andare contro il sistema di Castle per sopravvivere e riabbracciare la moglie e la figlia.

Un film che offre molti spunti di riflessione, quello di Neveldine e Taylor, che nella foga di denunciare il mondo virtuale tramite se stesso, conducono lo spettatore in una trappola un po’ infida utilizzando strumenti e linguaggio che proprio quel mondo vanno a sostenere. Mi riferisco al montaggio, che definire frenetico è dir poco, e alle riprese da videoclip che confondono lo spettatore e rendono faticosa la fruizione del film.

Buona prova per gli attori: Butler si rivela efficace sia in ruoli da commedia romantica che in panni più sporchi come quelli di Kable/Tillman, e anche il cattivissimo Michael C. Hall, volto notissimo di serial TV, non fatica troppo a rendersi credibile nel suo ruolo.

Buone interpretazioni e una storia articolata su una profonda critica sociale (che però si ripiega su se stessa) non bastano purtroppo a fare di Gamer un buon film. E la pecca maggiore è proprio il racconto, che nelle fasi intricate si rivela approssimativo e in quelle d’azione decisamente prolisso.
Peccato, una buona storia bruciata.

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