Presentato fuori concorso al 48º Festival di Cannes, I soliti sospetti (The Usual Suspects, 1995) di Bryan Singer è uno dei thriller più acclamati degli anni ’90. Un film che ha ridefinito il concetto di narratore inaffidabile, mescolando struttura labirintica, ritmo serrato e un finale tra i più sorprendenti della storia del cinema.
Con Kevin Spacey, Chazz Palminteri, Gabriel Byrne, Kevin Pollak, Stephen Baldwin e Benicio Del Toro, la pellicola è diventata un punto di riferimento per registi e sceneggiatori del genere.
Trama de I soliti sospetti
Dopo la misteriosa esplosione di una nave nel porto di Los Angeles, il truffatore invalido Roger “Verbal” Kint (Kevin Spacey) viene interrogato dall’agente doganale Dave Kujan (Chazz Palminteri). L’uomo ricostruisce l’intera vicenda attraverso una lunga deposizione che diventa il cuore del racconto.
Tra flashback e testimonianze ambigue, emergono i membri di una banda criminale: l’ex poliziotto corrotto Dean Keaton (Gabriel Byrne), lo scassinatore Todd Hockney (Kevin Pollak) e i ricettatori McManus (Stephen Baldwin) e Fenster (Benicio Del Toro). Tutti sono legati da un episodio misterioso che li porterà a compiere una serie di colpi sempre più pericolosi.
Ma dietro ogni azione si nasconde l’ombra di Keyser Söze, un boss leggendario, temuto anche dal crimine organizzato. Nessuno lo ha mai visto, eppure la sua presenza domina ogni scena, sospesa tra mito e paranoia.
Perché il film di Bryan Singer è diventato un cult
La forza di I soliti sospetti risiede nella sua architettura narrativa: una trappola perfetta costruita dalla sceneggiatura di Christopher McQuarrie, premiata con l’Oscar nel 1996 insieme a quello assegnato a Kevin Spacey come miglior attore non protagonista. Il film procede su due binari – il racconto di Verbal e la ricerca della verità da parte dell’agente Kujan – che si sovrappongono e si contaminano fino a fondersi.
Il montaggio di John Ottman, anche autore della colonna sonora, guida lo spettatore attraverso i salti temporali e i punti di vista contraddittori, creando una tensione costante. Ogni inquadratura sembra suggerire qualcosa e, al tempo stesso, depistare.
Rivisto oggi, il film mantiene intatta la sua efficacia perché non vive solo del colpo di scena finale, ma della costruzione minuziosa della menzogna. Ogni dettaglio – una tazza, un sguardo, una pausa – acquista senso solo nel momento conclusivo, rivelando la precisione chirurgica con cui Singer orchestra il gioco.
Il mito di Keyser Söze
Keyser Söze non è soltanto un personaggio, ma un’idea: la personificazione del male invisibile, un’entità che si alimenta della paura e della leggenda. Nel film, la sua identità diventa oggetto di narrazione collettiva, trasformando il racconto in una riflessione su come il potere nasce dalle storie che gli uomini si raccontano.
Singer e McQuarrie costruiscono Söze come una figura mitologica contemporanea, allo stesso tempo onnipresente e inesistente, il cui fascino continua a esercitare un’influenza enorme sull’immaginario del cinema crime.
A quasi trent’anni dall’uscita, I soliti sospetti rimane un film fondamentale nella storia del thriller moderno. La regia calibrata, la scrittura impeccabile e le interpretazioni di un cast straordinario lo hanno trasformato in un riferimento per tutti i racconti basati sull’inganno e sulla percezione.
Oltre il suo twist finale, è un film che riflette sulla natura del racconto stesso: su quanto sia facile credere a una storia ben raccontata e su come la verità, al cinema come nella vita, possa nascondersi dietro il potere delle parole.
I soliti sospetti
Sommario
Un classico intramontabile del thriller moderno: I soliti sospetti conferma la maestria di Bryan Singer nel costruire tensione e ambiguità. Grazie alla scrittura di Christopher McQuarrie e all’interpretazione magnetica di Kevin Spacey, il film resta un meccanismo narrativo perfetto, dove nulla è come sembra.



