Siamo particolarmente abituati a racconti dedicati a controversi detective divisi tra casi complessi e una vita privata in subbuglio. Il più delle volte, però, questi arrivano dall’Occidente e ci restituiscono un immaginario e un contesto a cui siamo grossomodo avvezzi. Ecco perché il film Indomptables, co-produzione tra Camerun e Francia, offre a suo modo una ventata d’aria fresca. Presentato prima alla Quinzaine des Cinéastes di quest’anno e ora in concorso alla 35° edizione del Noir in Festival, il film diretto da Thomas N’Gijol applica dunque i codici tipici del poliziesco al contesto del Camerun, dividendosi tra concreta tensione e momenti di maggiore comicità.
Liberamente tratto dal documentario Un crime à Abidjan (1999) di Mosco Boucault – dedicato ad un’indagine per omicidio e ai brutali metodi impiegati per arrivare alla soluzione – Indomptables (ovvero, Indomabili) risulta essere un compendio degli interessi di N’Gijol come artista. Qui al suo quarto lungometraggio, il regista francese di origini camerunesi, è infatti una star della comicità tra televisione e teatro e ripropone il suo gusto per i tempi e gli sketch comici anche all’interno di questo racconto, che resta però drammatico e nonostante alcune ingenuità risulta un avvincente commento sull’abuso di potere e il rapportarsi con il cambiamento dei tempi.
La trama di Indomptables
Il film si sviluppa su due livelli. Da un lato, il commissario Billong (lo stesso N’Gijol) indaga sull’omicidio di un collega, un’indagine apparentemente classica che rivela la natura totalmente arbitraria delle forze di polizia locali (intimidazioni, quasi torture, retate casuali, corruzione, ecc.). Dall’altro, anche nella vita privata del commissario nulla è chiaro, poiché la sua autorità genitoriale (formata dalle tradizioni), viene apertamente messa in discussione dalla figlia maggiore. Nella sua ricerca della verità e sotto la pressione delle persone a lui più vicine, dei suoi superiori, del caos imperante e della sua stessa coscienza Billong, alle prese con una serie di dilemmi, sente la sua personalità incrinarsi.

Una riscrittura del genere
Si diceva dei codici del poliziesco portati in un contesto “inedito”, o che comunque si è indubbiamente meno abituati a vedere. N’Gijol ci introduce infatti da subito al commissario Billong, un uomo ligio al dovere, scocciato dalla disorganizzazione del Camerun in cui deve muoversi, ma anche molto preoccupato a tenere alto il nome della sua famiglia. Un uomo duro con i criminali e ancor di più con i propri figli. Poi l’omicidio, la ricerca dei testimoni, delle prove, il tutto mentre privatamente vede la sua autorità messa continuamente in dubbio. Dinamiche viste e riviste, certo, ma riguadagnano freschezza proprio grazie al contesto del Camerun.
Le strade non asfaltate, lo sporco, la povertà, l’inefficienza dei servizi, gli edifici mai completati e la corrente cittadina che salta di continuo. Tutti questi elementi e altri ancora sembrano infatti sottolineare il senso di impotenza e di frustrazione di Billong, il quale sembra sentirsi come un pesce fuor d’acqua. Non a caso, è l’unico ad essere vestito con giacca e cravatta, come a ribadire il suo desiderio di elevarsi oltre quel contesto. Ed è infatti nel rapporto che il protagonista ha con esso e le sue peculiarità che si ritrova il vero cuore del film.
A N’Gijol non sembra interessare un racconto solido che proponga un’investigazione precisa e con una chiara risoluzione (sebbene questo lasci la sceneggiatura ad un livello elementare). Piuttosto, sfrutta la vicenda per far emergere le evidenti falle nel sistema, con un corpo di polizia che procede quasi a casaccio e colpevoli che non si capisce se siano davvero tali o si assumano colpe non proprie solo per evitare ulteriori torture. Insomma, un panorama piuttosto desolante quello che il regista mette in scena, con il protagonista che nonostante lo critichi e lo ponga in paragone con quella che ritiene essere “l’efficienza occidentale”, non si tira indietro dall’essere egli il primo ad abusare del proprio potere.

L’equilibrio tra dramma e comicità di Indomptables
Ma Indomptables, nel suo riscrivere i codici del genere, non si pone unicamente come una dura critica sociale. Il regista, come si accennava in apertura, non manca di inserire numerose situazioni comiche, da dialoghi stralunati a gesti inconsulti e fisicamente buffi. Così, la tensione si smorza quando serve, il film si prende sul serio fino ad un certo punto e la visione risulta più sostenibile. Certo, non sempre il passaggio tra dramma e comicità è ben bilanciato e talvolta si ha l’impressione di alcuni passaggi un po’ troppo bruschi. Come anche si avverte la ridondanza di certi dialoghi legati al ruolo di padre padrone di Billong.
Nonostante questi inciampi, Indomptables resta un film particolarmente godibile. Non solo per la sua adeguata durata (81 minuti), ma anche perché è un’opera esteticamente ben curata, che gioca con la palette di colori predominante di quei luoghi per dar vita ad un’atmosfera calda, densa, che sostiene ulteriormente il racconto. Così si procede spediti verso il finale, tutt’altro che consolatorio o risolutivo, ma che consente a N’Gijol di chiudere opportunamente il suo discorso tra abuso di potere, contrasto generazionale e valori della paternità.
Indomptables
Sommario
Indomptables rinfresca i codici del poliziesco grazie al contesto camerunense, offrendo un mix originale di tensione, critica sociale e comicità. Pur con qualche ingenuità narrativa e un equilibrio non sempre perfetto tra dramma e umorismo, il film resta coinvolgente e visivamente curato. Con un finale amaro e una regia attenta al tema dell’abuso di potere, l’opera di N’Gijol si conferma breve ma incisiva, e decisamente godibile.
