Jason Bourne aveva fatto perdere le sue tracce e mancava dal grande schermo dal lontano 2007. Sembra un’epoca fa, un lasso di tempo sufficiente per far avanzare la nostra storia politica e con lei il progresso in campo tecnologico, fondamentale per il campo d’azione dell’agente segreto interpretato da Matt Damon.
Ed eccoci qua, nove anni dopo l’ultimo capitolo uscito al cinema, in sella alla macchina da presa di Paul Greengrass sempre agitata e poderosa in ogni suo tremore, a riprendere le fila del personaggio durante le agitazioni civili nella piazza di Atene. La confusione è tanta ma il cuore del discorso molto semplice: Bourne vive in clandestinità ma viene ricontattato dalla collega Nicky (Julia Stiles) che, violando i database della CIA, ha scoperto un piano portato avanti sin dalla sua nascita. L’agente è infatti stato forgiato come un’arma letale, un robot al servizio dell’intelligence americana.
Si procede così all’interno di un percorso strutturato quasi a blocchi, ognuno caratterizzato da una lunghissima sequenza action dove l’inarrestabile movimento della camera di Greengrass viene assecondato, come elemento ormai tradizionale del suo cinema, da un montaggio serrato che tiene incollato lo sguardo e non lascia fuori nessun dettaglio dalla scena.
Senza tregua né respiro, lo spettatore più affezionato al genere non potrà che sottrarsi al fascino godurioso e all’incredibile maestria di questa “bibbia dell’editing” moderno, una tecnica già espressa e affinata (oltre che raffinata) nel corso di tutti i film di Bourne e oggi unico aspetto davvero incontestabile. L’analisi del lavoro complessivo invece cambia notevolmente se pensiamo a quanto la sceneggiatura resti piuttosto superficiale, nonostante le ottime premesse e l’ambientazione cibernetica nella società post – Snowden, un approccio alla realtà così banale da suggerire tutta la stanchezza e la ripetitività nelle quali versa la saga.
Nemmeno i nuovi innesti nel cast, tra cui una Vincent Cassel e Alicia Vikander brava a tenersi in equilibrio tra la mente algida e il cuore caldo di una giovane donna ambiziosa, sono serviti a rinvigorire lo spirito di un personaggio e di un universo a lui collegato che meriterebbe una pausa definitiva, lasciando che il passato pure glorioso e indimenticabile faccia spazio al futuro dei prossimi agenti segreti. Il lungo serpeggiare di Jason Bourne come un’ombra tra la folla, in una delle scene migliori del film, ne potrebbe diventare la perfetta metafora di sparizione.