La metamorfosi del male: recensione del film di William Brent Bell

La ricetta che sembra proporci William Brent Bell, reduce dalla non eccelsa prova mokumentary de L’altra faccia del male, in La metamorfosi del male segue la via ormai consolidata della spiegazione peseudo-scientifica della metamorfosi uomo-animale, seppur decidendo di cambiare drasticamente rotta nell’ultima parte della pellicola per ritornare sui binari della tradizione del genere, affidandosi alla componente soprannaturale e mistica.

 

La trama di La metamorfosi del male

In La metamorfosi del male dopo che un’intera famiglia è stata brutalmente trucidata durante un camping nei boschi della Francia, le autorità sospettano che si tratti di un animale feroce, così come dimostrerebbero le tracce sul volto sfigurato della madre sopravvissuta. Ben presto però i sospetti ricadono su Talan, un energumeno taciturno e mentalmente menomato, cosicché quando l’uomo viene arrestato, in sua difesa viene chiamata l’intrepida avvocatessa Katherine Moore, la quale dovrà battersi per ottenere il rispetto dei diritti umani del suo cliente. Ma ben presto una terribile verità incomincerà a venire a galla, una verità mostruosa e sconvolgente. Dopo il vampiro, l’uomo lupo è sicuramente una delle figure cinematografiche più abusate della storia, uno dei topoi dell’orrore dal sapore ancestrale ma che risente d’altronde degli inevitabili segni del tempo. Dunque come resuscitare degnamente un tale personaggio senza rischiare di cadere nello stantio o nel riciclo oggi tanto battuto dai blockbusters?

Facendo uso di uno stile narrativo alquanto eterogeneo, che unisce riprese in stile classico con inserti (seppur minimi) in found-footage ed estratti di finti telegiornali, il regista elabora un racconto che, seppur non originale nel contenuto e nello sviluppo drammaturgico, appare molto ben curato sul profilo estetico, regalando alcune soluzioni alquanto interessanti, soprattutto sul profilo del rapporto fra storia e messa in scena (come il mettere letteralmente in ombra la figura del gigantesco Talan durante l’interrogatorio, a simboleggiare l’oscurità della sua anima).

La metamorfosi del male

A.J.Cook, ormai forza televisiva consolidata nella serie di Criminal Minds, regge bene una prova attoriale in cui la psicologia appare alquanto messa in ombra da una sceneggiatura sicuramente non eccelsa e che risente nel complesso di una pesantezza dovuta all’abuso del soggetto trattato. Brian Scott O’Connor, esordio straordinario nei panni dell’ambiguo e tenebroso Talan, sa rendere benissimo un senso di inquietudine misto ad una perturbante bontà di fondo, come la figura terrificante di un orco buono delle fiabe. Ritmo sostenuto e atmosfere evocative giocano un ruolo determinate nel tenere a galla un’idea che rischia più volte di naufragare nello stereotipo e nella citazione.

Nel suo complesso La metamorfosi del male si presenta come un ennesimo prodotto di genere sul tema riscaldato del licantropo, lontano sicuramente dal genio irriverente di John Landis e dalla violenza orrorifica di Joe Dante, senza infamia e senza lode, un modo sicuramente sincero e a tratti originale per adattare al nuovo millennio la figura di uno dei mostri sacri del cinema di paura.

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Matteo Vergani
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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
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