La Petite: recensione del film di Guillaume Nicloux

Il dolce e sincero dramma francese diretto dall’audace Guillaume Nicloux, dal 18 gennaio al cinema

Joseph è un impegnativo vedovo settantenne che passa le sue giornate in solitaria nell’incasinato e affascinante laboratorio in cui restaura esclusivi pezzi d’arredamento. La sua vita procede tranquilla finché improvvisamente un giorno riceve la telefonata più dolorosa che un genitore possa mai avere: suo figlio Emanuel e il suo compagno Joachim sono morti in un tragico incidente aereo. Mentre cerca di affrontare e accettare la perdita del figlio, Joseph inizia a interrogarsi e ossessionarsi sul futuro della bambina, non ancora nata, che i due giovani stavano per avere grazie alla ventenne Rita, una madre surrogata nella città di Gent, in Belgio, dove la GPA (Gestazione per Altri) è accettata ma non ancora regolamentata giuridicamente.

 

Cosa ne sarà della piccola? Riuscirà ad avere una famiglia o verrà abbandonata e dimenticata? Con il disappunto della figlia (Maud Wyler) e dei genitori di Joachim – questi ultimi troppo impegnati in una guerra giudiziaria contro la compagnia aerea coinvolta nell’incidente –, Joseph decide di partire per il Belgio in cerca della misteriosa madre surrogata, con l’obiettivo di conoscerla e assicurarsi che la nascitura abbia tutto l’amore che merita e che suo figlio era pronto a darle.

È questa la commovente e profonda storia di La Petite, il dolce e sincero dramma francese diretto dall’audace Guillaume Nicloux (The Nun, The End, The Lockdown Tower) e ispirato al romanzo Le Berceau (trad. “La culla”) di Fanny Chesnel, disponibile nelle sale italiane dal 18 gennaio 2024.

La Petite – In foto l’attore Fabrice Luchini.

Per ogni vita che va, c’è un’altra che arriva

È davvero raro incontrare sul grande schermo narrazioni che affrontino il complesso e controverso tema della maternità surrogata. Se poi a questo si aggiungono anche le difficoltà affrontate dalle coppie LGBTQIA+, l’elaborazione della perdita di un figlio e le dinamiche non così semplici delle famiglie allargate, allora diviene una vera e propria sfida cinematografica. Una sfida che Nicloux ha accettato con la storia contemporanea di Joseph, interpretato dal talentuoso e pluripremiato Fabrice Luchini, e Rita (l’attrice belga Mara Taquin, conosciuta in La Syndicaliste e Nothing to Fuck).

Attraverso una narrazione semplice ed essenziale, Nicloux conduce il pubblico in un coinvolgente e intenso viaggio di 90 minuti sull’esistenza, l’amore, la sofferenza e la rinascita. Dopo la perdita del figlio, Joseph si aggrappa a un fragile filo di speranza legato a Rita, la giovane donna, apparentemente fredda e pungente, che aveva accettato la gravidanza solo per motivi finanziari. Empatizzare con Joseph è facile, ma affezionarsi a questo tenero padre lo è ancor di più. Nonostante il suo complicato e infelice rapporto con il figlio, Joseph sceglie di non affrontare il lutto con rabbia o risentimento. Si lascia piuttosto travolgere dai ricordi, si concede la possibilità di perdonarsi, anche se con qualche difficoltà, e insegue l’opportunità di compiere il suo ultimo grande atto d’amore per Emanuel.

La Petite – In foto (da sinistra a destra) Mara Taquin e Fabrice Luchini.

Un’opera intima e delicata, ma non abbastanza coraggiosa

Con il giusto equilibrio tra dramma e umorismo, morte e vita, Nicloux regala al grande schermo un’opera intima, delicata, e, soprattutto, sincera, dall’inizio alla fine. La Petite è un adorabile e toccante viaggio di redenzione e di rinascita che riflette, senza riserva alcuna, sulla complessità della vita e le sue infinite variabili.

Al di là della sua tenera e dolceamara bellezza, però, La Petite sembra voler restare in superficie, evitando di approfondire con attenzione e dignità quel tema complesso di cui si fa onorevole portavoce. Infatti, la discussione sulla maternità surrogata per famiglie arcobaleno, pur presente, è accennata fugacemente da poche battute sparse senza un’adeguata coerenza o una reale importanza. Per quanto godibile, emozionante e dalle nobili intenzioni, quindi, la pellicola di Guillaume Nicloux manca l’occasione di affermarsi sul panorama cinematografico come un’opera originale, incisiva e provocatoria; accontentandosi così di essere in realtà un timido e labile tentativo che ha avuto timore di spingersi troppo oltre.

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