Presentato come film d’apertura della 20ª edizione della Festa del Cinema di Roma, La vita va così segna il ritorno di Riccardo Milani dietro la macchina da presa con una storia che intreccia memoria, identità e progresso. Dopo il successo di Un mondo a parte (qui la nostra recensione), che ci portava tra le montagne d’Abruzzo, il regista sceglie questa volta la Sardegna meridionale come teatro di un nuovo scontro tra tradizione e modernità.
Nel cast, un mix inaspettato: Virginia Raffaele, Diego Abatantuono, Aldo Baglio, Giuseppe Ignazio Loi e la partecipazione di Geppi Cucciari. Un ensemble che, almeno sulla carta, promette equilibrio tra ironia e dramma, anche se non sempre riesce a mantenere la promessa.
Prodotto da OURFILMS in collaborazione con Netflix e distribuito da Medusa Film e PiperFilm, La vita va così arriva nelle sale dal 23 ottobre. E nonostante la potenza visiva della fotografia di Simone D’Onofrio e Saverio Guarna — che trasforma la Sardegna in un personaggio vivo e pulsante — la pellicola finisce per perdersi nei suoi stessi orizzonti.
La vita va così: una storia di resistenza e appartenenza
Alla soglia del nuovo millennio, Milani costruisce un racconto di contrasti: Efisio Mulas (Giuseppe Ignazio Loi), pastore solitario e ultimo custode di una costa incontaminata, si trova a difendere la propria terra da Giacomo (Diego Abatantuono), imprenditore deciso a trasformare quel paradiso in un resort di lusso. Attorno a loro ruotano Francesca, la figlia di Efisio (Virginia Raffaele), divisa tra la voglia di cambiare e il peso delle radici, e Giovanna (Geppi Cucciari), giudice chiamata a dirimere un conflitto che presto travalica il piano legale per diventare simbolico.
L’idea di Milani è
nobile: raccontare la tensione tra progresso e identità, tra chi
vede nel cemento una promessa di futuro e chi riconosce nella terra
la memoria di un passato da non tradire. Tuttavia, La
vita va così si muove su binari fin troppo
prevedibili, e il suo messaggio – pur potente – si perde in un
ritmo che fatica a trovare una direzione precisa.
Il film, infatti, risulta troppo lungo per il suo racconto: la
durata dilatata ne appesantisce la struttura e ne smorza
l’emozione, lasciando spesso lo spettatore intrappolato in sequenze
ripetitive che sembrano dire sempre la stessa cosa.
Eppure, nonostante le sue debolezze narrative, il film possiede una delicatezza visiva e un senso del paesaggio che rimangono impressi. La Sardegna filmata da Milani è ruvida, bellissima, sospesa in un tempo che non esiste più: una terra che parla con il vento, con il silenzio e con la luce. È in quei momenti, tra una collina dorata e il mare che sembra non finire mai, che il film trova la sua verità più autentica.
I volti del cambiamento
Virginia Raffaele, qui in un ruolo lontano dalle sue corde comiche, sorprende per misura e sensibilità: la sua Francesca è un personaggio fragile, combattuto, che porta in sé il peso di una generazione in bilico. Abatantuono offre invece una performance solida ma prevedibile, mentre Aldo Baglio, nei panni di Mariano, regala qualche lampo di umanità che spezza la rigidità del racconto.
Il vero cuore del film è però Efisio, interpretato da Giuseppe Ignazio Loi, presenza magnetica e intensa. È lui il simbolo del “non arrendersi”, del rifiuto di un mondo che cambia troppo in fretta. Nei suoi silenzi si sente tutta la malinconia di un’epoca che scompare, e quando si oppone con testarda dolcezza ai progetti di Giacomo, il film ritrova il suo centro emotivo.
Geppi Cucciari, nel ruolo della giudice, rappresenta la voce della ragione: ironica, disincantata, ma profondamente legata a quella terra. La sua presenza porta un’energia che manca altrove, e ogni sua scena accende il racconto di un calore sincero.
Il sogno (incompiuto) di Milani
La vita va così sembra voler proseguire il discorso iniziato con Un mondo a parte: Milani continua a cercare l’Italia marginale, i luoghi dove la modernità arriva come una minaccia e la semplicità resiste come un atto di fede. Ma se nel film precedente c’era una leggerezza poetica, qui la regia si fa più compassata, quasi timorosa. Il desiderio di lirismo non sempre trova parole adeguate, e il risultato è un racconto che oscilla tra la denuncia sociale e il dramma familiare senza riuscire a fondere davvero i due piani.
Rimane, però, la forza di un messaggio universale: la necessità di fermarsi, guardare ciò che ci circonda e scegliere consapevolmente dove andare. “A volte, proprio perché la vita va così, bisogna decidere da soli dove andare.” È una frase semplice che racchiude l’anima del film: quella di un cinema che crede ancora nel valore delle piccole scelte, anche quando il mondo sembra correre troppo veloce.
La bellezza non basta
La vita va così è un film sincero, costruito con cura e affetto, ma che non riesce a trovare la compattezza necessaria per emozionare davvero. L’intento è nobile, la fotografia magnifica, gli interpreti credibili – eppure qualcosa si perde per strada. La sceneggiatura, firmata dallo stesso Milani con Michele Astori, sicuramente non dà ritmo a una storia che avrebbe meritato più sintesi e più coraggio.
In fondo, come suggerisce il titolo, “la vita va così”: non sempre le buone intenzioni bastano, e anche un film pieno di luce può restare in ombra se non trova la giusta misura.
La vita va così
Sommario
In fondo, come suggerisce il titolo, “la vita va così”: non sempre le buone intenzioni bastano, e anche un film pieno di luce può restare in ombra se non trova la giusta misura.