Il primo film di Sara Petraglia, L’albero, in concorso alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Progressive Cinema, è un viaggio di formazione assieme duro e poetico, tragico e leggero, un coming of age romano, che prende corpo nelle strade del Pigneto. La regista e sceneggiatrice, figlia di uno dei più noti sceneggiatori italiani, Sandro Petraglia, sceglie una storia di amicizia, amore e dipendenza per il suo esordio sul grande schermo.
La trama de L’albero
Bianca, Tecla Insolia, è una ventenne che si trasferisce a Roma per frequentare l’università. Trova un appartamento al Pigneto assieme alla sua amica Angelica, Carlotta Gamba. Dalla finestra di casa si vede un maestoso albero al di là della ferrovia. Lontane dalle loro famiglie e con quella voglia spregiudicata e adolescenziale di sperimentare tutto senza pensare alle conseguenze, le due ragazze sprofondano nella dipendenza da cocaina. Una gita a Napoli non cambia le cose. Insieme sperimentano amore e morte, finché per ciascuna arriva il momento di scegliere cosa fare della propria vita.
Un modo diverso di raccontare la dipendenza
Raccontare la dipendenza in modo non convenzionale era uno degli obiettivi dichiarati di Sara Petraglia. La regista lo fa innanzitutto senza giudizio, ma solo descrivendo. Non ci sono enfasi ed estremizzazione eccessiva, ma neppure la volontà di edulcorare. Petraglia affida il suo racconto a due “insospettabili”, due ragazze dalla faccia pulita, apparentemente lontane anni luce dal mondo delle sostanze, da chi lo popola, da chi vi gravita attorno. Mai come in questo caso, l’apparenza inganna. Si mettono così in discussione pregiudizi e visioni precostituite. In modo realistico e non immaginifico o fantasioso, il film mostra anche come si possa superare la dipendenza, senza sconti o scorciatoie.
Troppo tristi per avere vent’anni
Tuttavia, L’albero non è, o non è solo, un film sulla dipendenza. Le famiglie delle protagoniste non compaiono mai. Forse questa è una pecca del film, non si indagano le origini del loro disagio. Ma non è ciò che si vuole raccontare. C’è invece il gruppo dei pari, amiche e amici. Ventenni come tanti ma, come nota Bianca in una scena emblematica del film, tutti molto tristi. La protagonista per prima si rifugia nell’uso di sostanze, non solo cocaina, per dare spallate a questa tristezza, al dolore che da sempre la accompagna. Quello leopardiano – non per nulla un’immagine del poeta di Recanati campeggia nel salotto di casa – che scaturisce dalla consapevolezza della caducità della vita, della natura effimera della felicità, sempre fugace. Bianca non sopporta tutto ciò e la vita, così com’è le sembra troppo difficile da affrontare. Preferisce rifugiarsi nei libri e nei diari che lei stessa scrive, nell’immaginazione, anziché vivere la realtà. Sembra quasi che, con l’incoscienza della loro età, le due amiche siano disposte perfino a rinunciare alla vita stessa. La regista le mostra in questo momento di spericolata leggerezza e nel percorso che porterà in particolare Bianca, su cui si sofferma maggiormente lo sguardo di Petraglia, a fare i conti con questa sofferenza, questa sorta di feroce malinconia, che è parte di sé.
L’albero, opera prima semplice ed efficace
L’albero ha una costruzione semplice, con pochi elementi, messi ben a fuoco. La sceneggiatura è lineare e questo consente alla regista, che l’ha curata, di tenere la materia del film efficacemente sotto controllo. La durata del film è agile. Petraglia riesce a tenere insieme nella sua visione disincanto e poesia, affrontando con levità temi intimi e profondi. Una leggerezza che certo non è sinonimo di superficialità. La regista rende anche con vivida immediatezza la vita del quartiere che descrive, sembra conoscerlo bene. Anche nell’inserto napoletano, che sposta l’azione in altro luogo, lo spettatore vede una Napoli insolita per il nostro cinema, né da cartolina, né da cronaca nera. Le sue strade di notte, come l’umanità che le abita, somigliano a quelle del Pigneto, ma potrebbero trovarsi in qualsiasi altra parte del mondo.
Le interpretazioni di Tecla Insolia e Carlotta Gamba
Tecla Insolia – L’arte della gioia – e Carlotta Gamba – Gloria!, Vermiglio, Dostoevskij – offrono interpretazioni sentite e coinvolgenti, mai sopra le righe. Così vuole la regista, che le dipinge come due ragazze normalissime, invitando anche lo spettatore a riflettere su quanto il tipo di malessere presente nel film possa essere diffuso. L’albero è un esordio convincente, che mescola un dolore esistenziale profondo all’incoscienza e all’ingenuità dei vent’anni. Un film sulla difficoltà di raggiungere un equilibrio nella vita, per viverla senza farsene rovinosamente travolgere. Questo equilibrio sembra essere come l’albero del titolo: bello, maestoso, ma apparentemente irraggiungibile. Spesso però, basta cambiare strada per arrivarci, magari optando per un percorso meno lineare, meno immediato, forse più lungo, più tortuoso, ma che porta proprio lì.
L'albero
Sommario
Efficace esordio di Sara Petraglia alla regia, al centro due ventenni tra dipendenze, tristezze e incoscienza.