Il regista russo Kiril Serébrennikov (Leto, La moglie di Tchaikovsky) approda nel concorso di Cannes 77 con Limonov: The Ballad, adattamento del romanzo di Emmanuel Carrère sulla vita del dissidente, scrittore e poeta russo Ėduard Limonov, qui interpretato da un istrionico Ben Whishaw.
Limonov, la ballata punk di Kiril Serébrennikov
Eduard Limonov aveva la stoffa dell’eroe: una persone capace di essere un poeta sovietico radicale, un vagabondo e una prostituta a New York, un intellettuale in Francia e un oppositore politico nella Russia contemporanea. Tutte queste vite e tutte queste sfaccettature si ritrovano in un personaggio la cui storia permette di comprendere e testimoniare tutti i cambiamenti radicali del mondo dopo la Seconda guerra mondiale fino all’attuale crisi geopolitica globale, compresa l’invasione dell’Ucraina. Questo plurimo e affascinantissimo potenziale è stato colto e raccontato in maniera eccellente dallo scrittore francese Emmanuel Carrère.
Limonov era una rockstar, pur non essendo un musicista, e come tale è interpretato dall’attore britannico, capace anche di essere repellente nella maggior parte delle scene in cui compare quest’uomo, ossessionato dall’essere un eroe, dalla fama, dalla gloria e dal riconoscimento. La colonna sonora di Limonov: The Ballad, i movimenti di macchina, le grafiche colorate, le immagini di repertorio, le scenografie articolate, tutto serve a distinguere questa personalità incasellabile.
Più Limonov che decidono come raccontarsi
In Limonov: The Ballad, il regista ha la capacità di portarci visivamente attraverso il grigiore dell’URSS e la luminosità della New York degli anni ’70, con la musica dei Velvet Underground ad accompagnare il viaggio di questo Barry Lindon sovietico, e insistendo sull’ossessione per gli Stati Uniti di un personaggio che si definiva ammiratore di Stalin, mettendo uno di fronte all’altro questi due mondi separati dalla cortina di ferro, i loro successi e le loro contraddizioni. Se Carrère era riuscito a raccontare, attraverso la figura di Limonov, come Putin fosse emerso nella Russia contemporanea, il regista preferisce lasciare fuori quell’episodio dalla storia, che si conclude quando Limonov viene rilasciato dal carcere in Siberia, dopo essere stato accusato di terrorismo e traffico d’armi, alla guida del Partito Nazionale Bolscevico.
All’inizio del film, Limonov si definisce un comunista indipendente. Ha vissuto in tantissimi luoghi, ha scritto e lavorato in più Paesi. Aggiunge anche che non è mai stato un vero dissidente, ma nemmeno uno scrittore sovietico: una carta d’identità che prende forma con toni decisamente punk. Nel corso del racconto, che non è mai lineare, l’accento è posto sui periodi in cui Limonov ha sperimentato l’intensità della vita, la passione sessuale e la vocazione per una poesia disobbediente.
Limonov va a New York (e si annoia)
Nella madrepatria o ti fai ammazzare o ti ubriachi dalla noia, sentenzia Limonov, ma cosa succede se si inizia ad annoiarsi anche negli altri Paesi? Arriva a New York, dove constata che la letteratura è ormai stata declassata rispetto ad altre forme d’arte e che non c’è di certo bisogno di un altro poeta in una città in cui i Wahrol girano per strada. Ma Limonov vuole movimento, azione, ed è per questo che sposta la narrazione, apre e chiude le scene, su e giù per il proscenio, sapendo che l’attenzione dello spettatore è tutta su di lui: Ben Whishaw/Limonov, che punta già alla Palma d’oro al miglior attore protagonista in questa edizione del Festival.
Emerge come Limonov sia un uomo sfiduciato, vuole solo qualcuno che si curi di lui, ricerca protezione in diverse forme di vita e sempre pronto a sperimentare per sentirsi vivo. Quando non ci riesce, deve sputare fuori tutta la rabbia e la violenza, reinventarsi, alla ricerca instancabile della glorificazione e non si fermerà neanche quando avrà dalla sua parte “un esercito di 300 spartani”.
Farsi strada tra le contraddizioni
Pur raccontando di una personalità dinamica e irreprensibile come quella di Limonov, la grammatica del film di Serébrennikov è piuttosto pulita e si apre sicuramente a tratti più mainstream rispetto allo stile del regista russo. Anche se avrebbe potuto sporcarsi di più nel ritrarre la sfacciataggine del personaggio – soprattutto con un attore così metodico – forse Limonov vuole simboleggiare proprio la tensione tra le due parti del suo animo, quella legata alla storia della madrepatria, e quella figlia delle libertà occidentali.
Limonov apre da solo le porte della Storia e del mondo, affermando che sono gli Stati ad adattarsi a lui, mai il contrario! L’Unione Sovietica è stata “un eterno casino”, ma “il casino è sempre divertentissimo”. Sei nato da eroe Eddie, gli dirà la compagna Elena e Limonov, che corregge sempre gli altri sulla pronuncia del suo nome, ne è più che consapevole, in tutte le forme e i substrati che assume la sua identità, incontrovertibilmente indirizzata verso due coordinate: “o divento famoso, o verrò assassinato”. Non c’è altra storia per vivere, e morire, da eroe.