Quanto ci vuole per fare pace con se stessi, per riscoprirsi uomini e donne diversi, per trovare il buono nel mondo che ci circonda? Più o meno quanto serve per percorrere – a piedi – gli 800 chilometri che dividono Kingsbridge nel Devon dalla lontana Berwick-upon-Twed. Questi gli estremi dell’incredibile “pellegrinaggio” affrontato da Jim Broadbent in L’imprevedibile viaggio di Harold Fry di Hettie Macdonald, che BiM Distribuzione porta al cinema a partire dal 5 ottobre. Un’adattamento del bestseller di Rachel Joyce, qui anche sceneggiatrice, nel quale troviamo anche la Penelope Wilton di Downton Abbey.
Chi è Harold Fry, la sua storia
Harold Fry (Jim Broadbent) è un normale cittadino britannico, un uomo qualunque che ha sempre vissuto senza prendere iniziative e oggi passa le sue giornate nella casa al 13 Fossebridge Road di Kingsbridge, South Hams, Devon. Con lui la moglie, Maureen (Penelope Wilton), casalinga silenziosa dedita alle pulizie e alle parole crociate. Una routine consolidata la loro, fino a che un giorno arriva una lettera di Queenie Hennessy (Linda Bassett), una vecchia amica e collega di Harold, molto malata, che dall’hospice nel quale è ricoverata scrive per dirgli addio. È il passato che ritorna e Harold stavolta decide di agire, e di andarla a trovare attraversando a piedi l’Inghilterra, convinto che il suo gesto la terrà in vita.
La trilogia di Harold Fry di Rachel Joyce
Trent’anni fa, sulla Rai (era Tunnel, di Serena Dandini), Vittorio Gassman conquistava le folle leggendo gli ingredienti dei frollini o l’etichetta di un capo delicato, analogamente qualsiasi testo o personaggio si affidi a un Premio Oscar come Jim Broadbent (per altro scelto per leggere l’audiolibro, in occasione dell’uscita del romanzo) non può che acquisire un notevole valore aggiunto. Figurarsi, poi, nel caso del protagonista della trilogia letteraria firmata dalla sceneggiatrice – in passato atrice, drammaturga radiofonica ed eletta come esordiente dell’anno nel dicembre 2012 – e che a “L’imprevedibile viaggio di Harold Fry” ha poi fatto seguire “The love song of Miss Queenie Hennessy” e “Maureen Fry and the angel of the North“.
Né Forrest Gump, né David Lynch
Un romanzo – il primo, in questo caso – che ha subito conquistato la regista di Normal People, anche per le “enormi potenzialità di narrazione visiva” che il racconto implicava, visto il road movie attraverso l’Inghilterra che fa da cornice all’esplorazione del personaggio e del suo mondo. E che ha fatto pensare a molti al Forrest Gump di Tom Hanks o all’Alvin Straight di Richard Farnsworth in Una storia vera di David Lynch. Due riferimenti citati anche dalla comunicazione ufficiale che rischiano di portare fuori strada…
Presentata come “celebrazione della vita”, come “ritratto dell’amore universale”, l’Odissea dell’anziano inglese interpretato da Broadbent è sì un “viaggio tenero e miracoloso”, ma molto più tormentato e dolente dell’Inno alla gioia che ci si potrebbe aspettare. Dall’inizio alla fine, ché l’elaborazione del senso di colpa e dei limiti della fede, e quanto spesso se ne faccia una stampella cui appoggiarsi a prescindere, sono la vera spina dorsale di una storia che piano sprigiona una forza di coinvolgimento capace di lasciare un senso di speranza e di ottimismo che il percorso non avrebbe lasciato intuire (per quanto, sì, prevedere).
In fuga dalla solitudine
La morte è onnipresente, ma soprattutto il rifiuto di vivere, di accettare le conseguenze di alcune scelte e di farne un’occasione di crescita. La solitudine è il sentimento dominante, nella vita coniugale passata a nascondersi dietro le tende di casa o nella rinuncia a superare la perdita di persone care, ma anche nel bisogno di tanti di seguire il santone di turno in quello che un pellegrinaggio non è (e forse per una volta la scelta della distribuzione italilana di cambiare il titolo originale non risulta incomprensibile).
Intorno a Harold Fry ruotano molte figure, meno coraggiose o meno disperate di lui (a parte il favoloso cagnolino che lo accompagna), ma sono i propri fantasmi a muoverlo, e a ossessionarlo. Il poetico tentativo di rimediare a un errore che lo spinge ad affrontare il suo folle progetto è meno forte, narrativamente, dei pochi momenti in cui l’impulsività prende il sopravvento. E meno confortante delle riflessioni finali di quella che a tratti prende la forma di una sorta di compilation motivazionale. Con la tanto decantata morale di come le cose possano cambiare e rivelare bellezza anche dove non ce lo si aspetta, se si impara a chiedere aiuto e ad offrirne, sembra infatti di intravedere la presa di coscienza di una sconfitta, di quanto sia ancora lungo il percorso che ci divide dal superamento delle nostre debolezze e delusioni. Un nuovo viaggio, o la prosecuzione di quello appena iniziato, stavolta però da fare insieme, grazie all’epifania che la sofferenza per le scelte del marito ispira alla povera Maureen.