Lovelace recensione film 2013

Nel 1972 debuttò al cinema Gola profonda, primo film pornografico pensato per il grande schermo. L’attrice protagonista, Linda Lovelace, divenne una star e un fenomeno sociologico che rapidamente fu associata al simbolo della libertà sessuale. Ma dietro la nuova icona si nascondeva una donna vittima di suo marito Chuck, ed una figlia rinnegata dai propri genitori.

 

Rob Epstein e Jeffrey Friedman dopo Urlo e Lo schermo velato, trovano in Lovelace una biografia di un altro complesso personaggio legato alla sfera sessuale, che la sceneggiatura di Andy Belin descrive a tutto tondo, riportando le vicende private e pubbliche dell’attrice. Queste rese note grazie al libro che scrisse negli anni ’80, Ordeal, ed in parte alle testimonianze dell’epoca.

Lovelace, il film

Il duo di registi mette in scena, con una struttura classica, una storia a tappe caratterizzata da diversi filoni narrativi. Temi che purtroppo non riescono ad esaurire il ritmo narrativo del film, risultando incompleto in diversi punti e intuitivo in altri, e generando una discontinuità dovuta ai continui sbalzi temporali, sottolineati anche dal montaggio di Robert Dalva e Matthew Landon, che diventano un freno emotivo all’interno del racconto. Inoltre, a creare un ulteriore distacco sono le ripetizioni di numerose sequenze con il cambio del punto di vista, che rende la storia fedele ad un impronta giornalistica-documentaria ma che perde in pathos e coinvolgimento su ciò che poteva essere un confronto più lineare all’interno del film, rapportando, per esempio, sia la figura della star che della donna in una visione simultanea.

Questa scelta però non ha intaccato la performance del cast, completamente legato ai personaggi interpretati che spicca in bravura nei passaggi chiave, caratterizzando con dramma o con ironia la scena. Prima su tutti, Amanda Seyfried che riesce ad evocare un erotismo simile a quello di un’ingenua Lolita nelle mani di un perfetto marito-padrone, Peter Sarsgard, che conferma la sua bravura nei ruoli cupi e violenti. La coppia sullo schermo lavora in perfetta sintonia riuscendo a far vivere per intero il rapporto vittima-carnefice che il successo ha irreversibilmente peggiorato. Un gradito ritorno in una storia intensa è Sharon Stone, nel ruolo della rigida madre, emaciata e fanaticamente cattolica che elargisce punizioni anziché concedere perdono. Un insolito Chris Noth riesce a sintetizzare ed incarnare le regole dell’industria della pornografia cinematografica.

Lovelace è una buona biografia che fa luce sulla vita di un’altra diva che veniva confusa con la sua immagine, che fa emergere l’interpretazione del proprio cast ma che pecca nella solidità della struttura facendo trasparire così la propria posizione sulla vicenda e lasciando che la storia ne subisca le conseguenze.

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