L’Uomo d’Acciaio: recensione del film di Zack Snyder

L'uomo d'acciaio film

Arriva al cinema il nuovo film su Superman diretto da Zack Snyder e prodotto da Christopher Nolan, L’uomo d’Acciaio (Man of Steel). Nei panni di Clark Kent l’attore Hanry Cavill.

 

In L’uomo d’Acciaio, un pianeta alieno ha esaurito le sue risorse energetiche e sta per implodere. Un illustre scienziato, abitante di quella terra, decide di mandare nello spazio il suo figlio ‘unigenito’ per affidargli la salvezza della sua razza. A tentare di impedirglielo ci sará un generale dell’esercito che come unico scopo persegue la salvezza del suo pianeta a qualsiasi costo. Il pianeta si chiama Krypton, il soldato si chiama Zod, lo scienziato si chiama Jor-El e il bambino è Kal, destinato ad infondere fiducia e speranza nel cuore degli uomini. Nomi familiari, volti noti ma storia nuova.

Attesissimo, L’Uomo d’Acciaio arriva al cinema disorientando la platea di appassionati del fumetto, proponendo una storia completamente originale che strizza continuamente l’occhio alla tradizione ma che allo stesso tempo se ne discosta nettamente.

L'Uomo d'Acciaio

Zack Snyder ci propone una storia nuova, raccontata con linguaggio volutamente sporco e a tratti un po’ confuso, ricercato di proposito, a suo dire, per far entrare meglio lo spettatore nel mondo del protagonista. Un protagonista tormentato e combattuto tra la rabbia per quello che può fare e la difficoltà di dover compiere la scelta giusta, una scelta che tutti prima o poi dobbiamo compiere: che tipo di uomo vuoi diventare? E’ normale però, che se sei Superman, la tua scelta condizionerà più di una vita.

Inutile girarci intorno, L’Uomo d’Acciaio è una cocente delusione. La grandiosità promessa dal trailer e lo spettacolo eclatante che si aspettava il pubblico delle grandi occasioni verranno disilluse da un film che si “riduce” ad essere un’invasione aliena della Terra, per mano di un uomo che per caso è il generale Zod.

Il problema di fondo di questo film però non è la storia, o meglio non è il fatto che la storia sia completamente diversa dal canone DC del personaggio, poiché se si racconta una storia bene il fatto che questa non sia fedele ad un originale potrebbe passare anche in secondo piano. Purtroppo una regia confusa, una sceneggiatura mediocre e dialoghi che in troppi momenti scivolano nel ridicolo collaborano a fare del film un prodotto insopportabile, se non fosse per gli effetti speciali e per le sequenze d’azione che sono realizzate alla perfezione. Ma a quei livelli, quello che dovrebbe sorprendere non sono gli effetti, ma l’anima, che qui manca, e a poco valgono la presenza scenica e la bravura di attori quali Russell Crowe, Michael Shannon e Amy Adams, e purtroppo, Henry Cavill, che sembrava sulla carta un Superman perfetto, fallisce la sua missione.

Snyder disegna un Superman cupo, disperato, incurante della distruzione che provoca la sua potenza, continuamente assimilato a un Cristo riluttante, completamente fuori asse e smarrito in un mondo che sembra amare, ma non abbastanza. E dov’è la speranza degli umani? Dov’è il simbolo da seguire come una bandiera? Dove la luminosa gioia e l’entusiasmo che l’intervento di Superman genera nella folla? Basta un “sono cresciuto in Kansas, non c’è nessuno più americano di me” a fare di Superman un eroe (nazionale)?

Quello che ferisce di più è la sensazione dell’occasione persa, è il continuo ricordo di quelle commoventi note firmate da Hans Zimmer e accompagnate dalla calda voce di Crowe, che nel trailer hanno fatto commuovere il mondo, e che invece nel film sembrano sparute stelle in un cielo nero.

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