In Magic Valley la cittadina di Buhl sembra fuori dal tempo. In quel posto sperduto ed isolato i giorni si susseguono tutti uguali, immersi nell’immobilità e le persone conducono la loro tranquilla vita di provincia come se nulla fosse. Ma tutti loro non sanno che quella che sta per trascorrere è una giornata particolare, che riserverà sorprese, per lo più brutte, ad alcuni di loro. Un allevatore di pesce trova i suoi animali morti, soffocati dalla mancanza di ossigeno perchè qualcuno ha deviato il ruscello che immette acqua nelle sue vasche, un ragazzo torna a casa stanco e tormentato, non si capisce subito cosa abbia, due bambini che giocano ai super eroi trovano il cadavere di una ragazza e decidono di seppellirlo.
Magic Valley, che da subito assume dei toni estetici alla Van Sant, si rivela nella struttura un mosaico di vita di provincia, in cui diverse storie si intrecciano senza però riuscire a dare di sè una definita linea comune. Se altri film ben noti nella storia del cinema con una struttura simile, vedi America Oggi oppure Magnolia, riescono nella loro frammentazione a coinvolgere lo spettatore ad ognuno dei personaggi di cui seguiamo le vicende, in questo caso non si riesce ad empatizzare con nessuno dei personaggi laddove anche la regia si limita a documentare con freddezza quello che succede. La musica poco empatica contribuisce a questa sensazione di straniamento, nonostante poi in molte occasioni il regista Jaffe Zinn metta da parte i campi larghi e segua i suoi personaggi con la macchina a mano.
Quello in cui però Magic Valley riesce a dare un’impronta molto personale è l’analisi spietata e scientifica di vizi e virtù di una società addormentata, o almeno assopita, dalla propria routine, immersa nella provincialità di una vita fatta di visite del veterinario, di giochi pericolosi e di vendette meschine tra vicini di proprietà. Il male del film diventa un gioco, una provocazione, una scusa per sfuggira da una realtà stagnante e allo stesso tempo i giochi sono inconsapevolmente perversi.