Maleficent, recensione: la rilettura Disney che reinventa (solo in parte) il mito della strega

Abbiamo visto Maleficent, il film Disney con Angelina Jolie che riscrive il mito della strega. Una fiaba visivamente sontuosa, ma narrativamente fragile.

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Con Maleficent, uscito nel 2014 e diretto da Robert Stromberg al suo debutto dietro la macchina da presa, la Disney tenta una delle sue più ambiziose operazioni di riscrittura: trasformare una delle villain più celebri del suo universo in protagonista assoluta. Il risultato è un film visivamente spettacolare, sostenuto da un’interpretazione magnetica di Angelina Jolie, ma narrativamente fragile, incapace di reggere fino in fondo la tensione fra mito e revisionismo. Al fianco dell’attrice premio Oscar, la giovane Elle Fanning interpreta la dolce Aurora, incarnazione della purezza e dell’innocenza che fa da contrappunto al tormento interiore della protagonista.

Il fascino del male e la fragilità del racconto

Elle Fanning in Maleficent (2014)
© 2013 – Disney Enterprises

Nell’immaginario dei cultori disneyani, Malefica è la regina indiscussa dei cattivi: elegante, spietata, affascinante, una figura di potere e oscurità che da decenni domina la scena di La bella addormentata nel bosco (1959). Con Maleficent, la Disney tenta di restituirle umanità e complessità, raccontando ciò che non sapevamo: le origini della sua rabbia, le ferite che l’hanno trasformata e il legame nascosto con la giovane principessa. Un’operazione affascinante, almeno nelle intenzioni, che tuttavia finisce per restare a metà strada fra la fedeltà al mito e il desiderio di renderlo più inclusivo e sentimentale.

L’idea di dare voce a un personaggio considerato “malvagio” era sulla carta vincente – una prospettiva in linea con la tendenza hollywoodiana a umanizzare i villain, come accadrà in seguito con Joker o Cruella. Tuttavia, nel film di Stromberg, la potenza simbolica di Malefica viene parzialmente annacquata da una sceneggiatura incerta, che non riesce a coniugare il lato oscuro e quello empatico del personaggio in un ritratto coerente. L’introduzione fiabesca, sorretta da una voce narrante onnipresente, rallenta il ritmo e priva lo spettatore del piacere della scoperta. Il prologo è lungo, illustrativo, più raccontato che mostrato, e l’effetto è quello di una fiaba spiegata piuttosto che vissuta.

Quando la narrazione finalmente si apre, Stromberg dimostra di possedere un ottimo occhio visivo — qualità inevitabile per chi, da scenografo, ha vinto due Oscar lavorando per Avatar e Alice in Wonderland. Le scenografie, i costumi e il design delle creature del bosco sono incantevoli, ma rimangono un esercizio di stile, privi della forza emotiva che dovrebbe accompagnarli. Il film sembra oscillare costantemente fra due registri: da un lato il fantasy sontuoso e favolistico, dall’altro il dramma intimo di una donna ferita e tradita. In questo dualismo irrisolto si consuma il suo limite principale.

L’ambiguità di Malefica e il peso della sua icona

Angelina Jolie in Maleficent (2014)
© 2013 – Disney Enterprises

La difficoltà maggiore del film risiede proprio nella caratterizzazione di Malefica. Angelina Jolie è straordinaria nel restituire il magnetismo, la sensualità e la tragicità del personaggio: il suo sguardo domina la scena, la voce è calda e tagliente, le ali spezzate diventano un simbolo potente della violenza subita e della sete di vendetta. Tuttavia, il copione la intrappola in una contraddizione. Da un lato, Malefica è la vittima di un torto atroce – un gesto di tradimento che la spinge a maledire Aurora -, dall’altro diventa improvvisamente madre surrogata della stessa ragazza, trasformando il racconto in una parabola sulla maternità e sul perdono. Questa inversione emotiva, pur interessante sulla carta, non trova il giusto equilibrio sullo schermo. Il film non osa davvero spingersi nelle zone più oscure della psicologia della protagonista, preferendo una via conciliatoria, più rassicurante per il pubblico ma meno incisiva sul piano narrativo.

Il regista Robert Stromberg, pur sostenuto da un apparato produttivo imponente, sembra limitato dall’assenza di una vera impronta autoriale. La sua regia appare elegante ma impersonale, priva di quella profondità visiva e simbolica che il soggetto richiedeva. Al contrario, gli effetti speciali e la fotografia patinata creano un universo estetico seducente ma artificiale, un po’ come se la forma avesse divorato il contenuto. Eppure, in alcuni momenti – soprattutto nelle scene più intime tra Malefica e Aurora – si intravede la promessa di un film più audace, capace di raccontare l’amore non romantico ma materno, e di riscrivere i ruoli archetipici della fiaba.

Un fantasy che incanta ma non sorprende

Nel complesso, Maleficent è un film che sogna in grande ma vola basso. Ha la forza visiva di un colossal e la grazia di una fiaba, ma non l’intensità drammatica necessaria per reinventare un classico. La sceneggiatura procede in modo prevedibile, sacrificando l’ambiguità del personaggio sull’altare della morale disneyana: il male non è più tale, è solo incomprensione; la vendetta diventa redenzione, e la tragedia si scioglie in un abbraccio liberatorio. Questo approccio “gentile” funziona sul piano dell’intrattenimento familiare, ma priva il film della potenza sovversiva che avrebbe potuto avere.

Resta però il piacere visivo, la cura dei dettagli e la forza magnetica di Angelina Jolie, vera colonna portante del progetto. La sua presenza riempie lo schermo, dando vita a un’icona che, pur ammorbidita, mantiene un’aura di mistero e regalità. Al suo fianco, Elle Fanning è perfetta nella delicatezza luminosa di Aurora, mentre Sharlto Copley (Stefan) offre un antagonista ambiguo e tormentato.

In definitiva, Maleficent è un fantasy elegante ma irrisolto, che affascina l’occhio più che la mente. È il primo passo di un percorso di riscrittura dei classici Disney che troverà maggiore coerenza e maturità solo negli anni successivi, con Cenerentola, La Bella e la Bestia e Crudelia.

Maleficent
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Sommario

Maleficent incanta per estetica e interpretazioni, ma delude per coesione e profondità.
Un film visivamente sontuoso che avrebbe potuto osare di più nel riscrivere il mito della strega.

Francesco Madeo
Francesco Madeo
Laureato in Scienze Umanistiche-Cinema e in Organizzazione e Marketing della Comunicazione d'Impresa è l'ideatore di Cinefilos.it assieme a Chiara Guida e Domenico Madeo.

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