Mary Shelley, recensione del film con Elle Fanning

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Quando si pensa a Frankenstein (o lo si legge) non ci si rende mai pienamente conto di quanto questo romanzo sia capace di far sgorgare sentimenti, riflessioni, l’anima intera dell’autrice. Soprattutto, non viene quasi mai dato il giusto peso all’autrice, sempre poco soppesata e data per scontata in un mondo, a noi contemporaneo, nel quale l’esistenza di scrittrici donna (usare il rafforzativo non fa male) viene data per scontata. E va a finire che su Mary Wollstonecraft-Godwin (conosciuta come Shelley) non ci si soffermi più di tanto. Il lavoro che fa Mary Shelley è dare vita all’autrice del primo romanzo fantascientifico, tra percorso di crescita e la ricerca di una propria voce autoriale.

 

Haifaa Al Mansour, prima regista donna dell’Arabia Saudita (paese nel quale è stato riaperto il primo cinema lo scorso aprile, dopo ben 35 anni) ha plasmato a figura di questa giovane donna pro-femminismo, anticonvenzionale, che vive nel ricordo della madre eterodossa e combattiva, morta qualche giorno dopo la nascita della figlia.

Ciò che viene raccontato è il genio di una ragazza che, a dispetto dei suoi diciotto anni, seppe indagare a fondo dell’animo umano, narrando sensazioni vissute in prima persona per poi raccontarle al mondo attraverso la voce non del mostro, ma di una creatura alla quale è stata data la vita per poi essere abbandonata. Raccontare il dolore dettato dall’abbandono, dalle incomprensioni e soprattutto dai pregiudizi.

Presentato al Festival di Toronto e allo scorso Torino Film Festival, in uscita nei nostri cinema il 29 di agosto, Mary Shelley gode di un fascino indiscutibile ma raccontato secondo modalità convenzionali. Se la prima parte del film mostra il percorso di crescita di Mary e le sue relazioni personali, con tutti gli aspetti positivi e negativi del caso, e del suo legame con Percy Shelley (Douglas Booth), quasi sprofondando in un teen drama vero e proprio, è la seconda parte che riesce a rendere veramente l’idea di cosa ci sia dietro la realizzazione di Frankestein, o il moderno Prometeo.

Il genio, l’anticonformismo, la lungimiranza e l’universalità. Ma anche e soprattutto la fermezza nel contrastare il bigottismo, lo smarrimento, i preconcetti. Un film che si perde nel didascalismo e che non si assume nessun coraggio indagatorio oltre i confini della convezione narratologica, senza arrischiare di indagare più a fondo il preciso contesto scientifico come il galvanismo, i pensieri e le contraddizioni interiori di una giovane donna, che sono quelli anche di un giovane, suo malgrado, mostro.

Mary Shelley diventa un ulteriore prova di esame per Elle Fanning che si mette nei panni di una ragazza divenuta donna, cercando di fare propria la grinta e la battaglia contro i demoni che le gravitano attorno e che la possiedono, lottando contro il conservatorismo senza, però, riuscire a dare la giusta empatia.

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