Michelangelo – Infinito, la recensione del docu-film

michelangelo - infinito

Torna al cinema un appuntamento ormai consueto, quello con la storia dell’arte. Partito da un’idea di Cosetta Lagani direttore artistico Cinema D’Arte Sky, il progetto di portare nelle sale cinematografiche il nostro meraviglioso patrimonio artistico è cominciato nel 2014, con Musei Vaticani, Firenze e gli Uffizi, San Pietro e le Basiliche Papali di Roma, fino ad approdare ai grandi successi Raffaello – Principe delle Arti(2017) e Caravaggio, l’Anima e il Sangue (2018). Quest’ultimo ha portato in sala una cosa come 175.000 spettatori, ottenendo un successo senza precedenti e diventando un vero e proprio caso cinematografico, essendo il primo film d’arte a classificarsi ai primi posti al botteghino.

 

Sulla scia di questa felice onda, si è deciso di concentrarsi su Michelangelo – più “Angelo che Michel” come ebbe a sottolineare Ludovico Ariosto – cogliendo la qualità quasi divina del suo portento artistico.       

Se nel 1965 il film con Charlton Heston Il Tormento e l’Estasi, ci aveva messo di fronte ad un Buonarroti estremamente romanzato, inserito in una storia a tutto tondo, in Michelangelo – Infinito si opta per il particolare connubio tra il film documentario e la pièce teatrale.

Per la regia di Emanuele Imbucci, qui anche sceneggiatore assieme a Sara Mosetti e al professore di storia dell’arte Tommaso Strinati, il film prende da subito un’impostazione didattica, facendo salire in cattedra nientepopodimeno che Giorgio Vasari, il primo grande biografo di Michelangelo, nonché suo enorme estimatore. Con le sembianze e l’interpretazione perfetta di Ivano Marescotti, Vasari ci introduce al “pittore, scultore et architecto” toscano tramite le parole delle sue Vite de’ più eccellenti pittori, scultori et architettori (parafrasate per l’occasione, onde essere maggiormente comprensibili).

E si parte con una panoramica diacronica e filologicamente attendibile, che va dalle primissime opere in bottega sino agli immortali capolavori che l’artista toscano fece per le committenze più prestigiose. A dare corpo e voce a Michelangelo un perfetto Enrico Lo Verso, somigliantissimo nelle fattezze (un po’ meno nell’intercalare siciliano che ogni tanto emerge). Lo Verso restituisce un uomo tormentato, arrabbiato e mai soddisfatto, pronunciando le parole esatte che emergono dagli scritti michelangioleschi, Rime e Lettere pervenuteci sino ad oggi.

I due protagonisti sono posti in un’ambientazione particolare, una sorta di “Limbo”, diverso per ciascuno dei due. Se quello del Vasari è rappresentato da un teatro anatomico, in legno, all’interno del quale lo scrittore decanta le lodi di Michelangelo, proprio come si trovasse su un palcoscenico, il Limbo personalissimo dell’artista è un luogo fumoso, pieno di blocchi di marmo e pozze d’acqua, specchio del carattere duro e spigoloso dell’uomo.

Michelangelo – Infinito, la conferenza stampa di presentazione

Ma le vere protagoniste sono le opere, sculture, dipinti, affreschi, che grazie  alla risoluzione in Ultra 4K HDR vengono indagate in tutta la loro consistenza materica.

La fotografia, affidata al bravissimo Maurizio Calvesi ( quattro volte vincitore del David di Donatello), fa scivolare luci e ombre sulle superfici (per lo più scultoree) che – dapprima lisce e rifinite – si fanno via via sempre più scabre, ruvide, taglienti, il cosiddetto “non-finito michelangiolesco” (I Prigioni, La Pietà Rondanini, etc) sintomo del tormento di un animo mai soddisfatto del proprio lavoro.

L’empatia col pubblico, già presupposta dalla magnificenza di immagini tanto belle, è edulcorata dalle musiche di Matteo Curallo, che di volta in volta cambiano a seconda del pezzo che stiamo ammirando, sperimentando persino un accenno di rock nella ripresa del prodigioso Mosè di San Pietro in Vincoli, che nella torsione del busto e nell’atto di alzarsi ci fa davvero venir voglia di urlare “Perché non parli?!”.

La collaborazione dei Musei Vaticani ha permesso a Michelangelo – Infinito di varcare le porte non solo della Cappella Sistina, ma anche di quella Paolina, opera meno conosciuta e ultima fatica che Michelangelo realizzò per Paolo III Farnese. Per quanto riguarda la volta e la parete sistina, il film si avvale della FULL CGI che ha permesso alla troupe, grazie anche all’aiuto di storici dell’arte esperti come il professor Vincenzo Farinella, di ricostruire l’ambiente vaticano prima dell’arrivo di Michelangelo, nel 1508.

Di grande effetto, ça va sans dire, la dettagliata esposizione visiva del Giudizio Universale sulle parole ispirate di Dante.

Michelangelo – Infinito è il sesto prodotto di un progetto votato all’Arte, che troppo spesso, incredibilmente nel nostro Paese viene messa in secondo piano. Ma i risultati positivissimi al botteghino dimostrano come invece ci sia bisogno del “Bello”, di assistere commossi a quei capolavori senza tempo.

Il connubio tra antico e moderno è evidente sin nella scelta del titolo, l’accostamento del nome di Michelangelo a quell’aggettivo che, più di trecento anni dopo, gli verrà attribuito da Rodin quando affermava: “Tutte le opere che Michelangelo fece sono così angosciosamente oppresse che paiono volersi spezzare da sole. Quando divenne vecchio giunse a spezzarle davvero. L’arte non lo appagava più. Voleva l’Infinito”.

Sintomo che la storia dell’arte può legare epoche diverse, uomini e culture differenti esprimendosi in un linguaggio universale che parla dritto al cuore.

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