Mommy: recensione del film di Xavier Dolan

Mommy

Xavier Dolan è, senza dubbio, l’enfant prodige della nuovo panorama cinematografico mondiale. E lo conferma con l’uscita in sala della sua ultima fatica, il film Mommy, (premiato col premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes) struggente e sfaccettato family movie atipico e personale, basato sulla relazione improbabile tra tre personaggi: Diane, suo figlio Steve e Kyla.

 

In Mommy Diane è una donna forte, una “combattente nata” come la descrive Dolan, una vedova che ha perso il marito da tre anni e si ritrova a dover gestire di nuovo il carattere turbolento e difficile di suo figlio Steve, affetto da disturbo del deficit di attenzione. Le loro vite complicate, scandite da incomunicabilità, vuoti e silenzi sono scosse dall’arrivo casuale della vicina di casa Kyla, un’insegnante che cela le radici di un indecifrato disagio dietro la timidezza e la balbuzie. Queste tre vite diventeranno complementari e necessarie l’una all’altra, permettendo ad ognuno di loro di inseguire un’ideale ricerca dell’equilibrio e una rinnovata speranza.

mommyLa Mommy è una dolente ballata di solitudini e libertà mancate, forse negate: i protagonisti- che vivono tre vite spezzate e incomplete- sono immortalati nella loro incapacità di vivere fino in fondo; l’occhio personale e disincantato del giovane regista li cattura mentre provano a lasciarsi andare agli eventi e alle situazioni che la vita può porre lungo il cammino dell’esistenza, come delle prove.

Le due figure materne, Diane “Die” e Kyla, sono complementari tra loro, indispensabili l’una all’altra per esistere e costituire- forse- un’unica figura completa di Madre, quasi un archetipo freudiano: la prima, cheap, vistosa, decaduta, mossa da una profonda voglia di vivere che la spinge a compiere delle scelte drastiche in nome di una libertà alla quale non si sente ancora di rinunciare, o forse in nome di una paura atavica conosciuta come “solitudine” che sembra aleggiare sul suo futuro, come uno spettro; la seconda, la vicina chiusa nel suo mutismo, è incapace di abbandonare quella famiglia “castrante” che si porta dietro e che le impedisce di esprimersi, ricordandole forse qualche doloroso dettaglio del suo passato più recente del quale non parla mai.

Da una parte, l’incapacità di lasciarsi andare, dall’altra la paura della libertà e della solitudine; in mezzo, c’è Steve. Il quindicenne affetto da un disturbo, edipicamente “innamorato” della madre e impreparato all’idea di doverla, prima o poi, lasciare. È lui che sembra raggiungere, almeno per il tempo di una canzone e di un’inquadratura, quel difficile equilibrio tra pesantezza e leggerezza, conquistando finalmente quella libertà così ricca di possibilità, ma allo stesso tempo spaventosa e crudele.

Mommy, del quale Dolan firma regia e sceneggiatura, è una storia di tre solitudini ingabbiate in un sobborgo, sintomatico della nostra società: la scelta di girare col formato 1:1 marca proprio questo senso di claustrofobia che accompagna la vita di queste persone, lasciando spazio alla bellezza patinata, fresca e luminosa del Cinemascope durante gli sporadici attimi di felicità e libertà.

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