Ci sono alcune storie amare, dal sapore agre, che diventano pesanti come un macigno per quello che si trascinano dietro. Sono storie piene di ferite, ancora grondanti, difficili da rimarginare e incerottare. Che si faticano a digerire e sono impossibili da accettare. Storie come Olga, film del giovanissimo Elie Grappe, che all’età di ventisette anni si è posizionato dietro la macchina da presa per scolpire un racconto tragico, intimo, lacerante, che ad oggi vanta un premio nella sezione Semaine de la Critique del Festival di Cannes 2021 e una menzione speciale ad Alice nella Città 2021.
Pur concentrandosi su una ginnasta, e su tutto il mondo della ginnastica artistica, la narrazione cela al suo interno un cuore drammatico, politico, quello della rivoluzione ucraina del 2014, che pulsa sofferente e martoriato, iniziato con le famose proteste dell’Euromaidan nel 2013. E che, nell’anno che corre, si trasforma in un grido d’aiuto ancora più forte, pronto a farsi portavoce del popolo, nella speranza che il suo eco possa raggiungere anche gli animi più duri. “Liberiamo l’Ucraina”, si sentirà dire nel film. Una frase che si riverbererà di continuo nel corso dell’opera, calcificandosi nelle immagini, agganciandosi ai corpi mostrati e imprimendosi nelle anime e nelle menti di chi osserva. Olga è distribuito da Wanted Cinema e arriva nelle sale italiane l’8 giugno.
Olga, la trama
Olga (Anastasia Budiashkina) è una giovane ginnasta in erba di quindici anni che quotidianamente si allena per poter partecipare ai Campionati europei di ginnastica artistica. La sua vita, però, viene stravolta quando qualcuno tenta di assassinare lei e la madre, una giornalista antigovernativa, durante quella che sarà la rivoluzione di Maidan in Ucraina. Conscia del pericolo che la figlia corre, la donna decide di mandarla dai nonni paterni che vivono in Svizzera, per poterla mettere al sicuro.
Una volta arrivata lì, Olga si scontra con un’ambiente sportivo molto sfaccettato, multilingue, e inizia ad allenarsi duramente per poter entrare nella squadra nazionale svizzera che la porterà alle Olimpiadi. Ma la quotidianità della ginnasta viene costantemente minata dalle notizie provenienti da Kiev, epicentro delle rivolte che si riversano in piazza Maidan di cui vede filmati e immagini, e che ad un certo punto iniziano a influenzare la sua vita e e le sue decisioni, portandola a mettere a rischio tutta la sua carriera.
Dentro la rivoluzione dell’Ucraina
Come accennavamo in apertura, Olga è un racconto pieno di lividi e tagli e il suo tono drammatico è subito percepibile, sin da quando vediamo nelle prime immagini la sportiva e la madre venire travolte da un’auto che vuole ucciderle. L’atmosfera politica e i tumulti sociali che hanno inghiottito e scosso l’Ucraina nel 2013/2014 costituiscono l’ossatura del film, lo spazio temporale in cui questo si chiude e alimenta e con esso la sua protagonista, che diventa veicolo attraverso cui mostrare sconfitte e sofferenze del popolo ucraino, quotidianamente assalito e ferito. Il contesto storico in cui le vicende si svolgono vede al potere il presidente Janukovyc che, dopo la rivoluzione anche definita “di Maidan”, si diede alla fuga trovando riparo in Russia.
Per quanto sembri un
passato lontano, la guerra fra Russia e Ucraina scoppiata l’anno
scorso non fa che accentuare la portata drammatica del film,
rendendolo più attuale che mai, poiché quello a cui si assiste oggi
è il culmine delle proteste e delle manifestazioni iniziate nel
2013. Ed è proprio in questa precarietà, in questo stato di
soffocamento sociale, che si muove Olga.
Il percorso che la ragazza affronta scorre in parallelo con le
rivolte violente ucraine, lì dove la protagonista diventa
estrema rappresentazione della sua nazione. Sempre con lo
sguardo spento, pieno di paure ma anche di voglia di lottare, Olga
oscilla fra crisi adolescenziali e desiderio di combattere al
fianco dei suoi concittadini, mentre cerca di sfogarsi con l’unica
cosa che la fa stare bene: la ginnastica artistica.
La sua unica via di fuga, di evasione e di libertà. Nella determinazione di Olga che si muove sulle sbarre e volteggia vi è anche quella dell’Ucraina. Nel suo pianto liberatorio vi è l’urlo provato di un Paese che si vuole libero, compreso, non assoggettato. La sua sofferenza fisica mentre si allena, le mani sanguinanti, il sacrificio, sono testimonianza di una sfida con se stessa a favore della gloria sportiva. Esattamente come lo sono le manifestazioni nella piazza Majdan di Kiev, dove ogni giorno gli ucraini si riversano per lottare contro una politica sbagliata, per farsi sentire.
Un popolo che sanguina, una protagonista che lotta
Per trasmettere maggiormente l’animo straziato sia dell’Ucraina che di Olga stessa, Grappe decide di usare il 16:9 come formato, che è più ristretto, al quale affianca molte inquadrature in primo piano. Del viso di Olga, delle sue mani, dei suoi occhi. Della protagonista vengono restituiti frammenti della sua figura, volti a enfatizzarne da una parte le emozioni provate, dall’altra il coraggio di lottare. Si ha interezza del suo corpo quando invece si allena con gli attrezzi, oppure quando corre per le strade svizzere nel tentativo di far scivolare via una tristezza che la assale. Ma tutto, di lei, è mostrato in maniera frenetica e disorientante. Mentre si esercita, mentre corre, mentre cammina.
La macchina da presa è instabile, le inquadrature traballanti sono riflesso e trasposizione sia del suo stato d’animo che della condizione ucraina. Anastasia Budiashkina, pur non essendo un’attrice ma una vera ginnasta, riesce a incarnare la destabilizzazione di Olga e la sua ribellione. Il regista, così, si affida principalmente alla presenza scenica impattante della sportiva e alla regia puntuale e decisa che usa una palette di colori principalmente fredda per incupire tutta la messa in scena e accentuarne il contenuto. E in cui la sceneggiatura fa solo da sostegno alla struttura già di per sé spessa e corposa. Ma per elevare ancora la sua portata drammatica, Grappe arricchisce il film di inserti documentaristici della rivoluzione avvenuta, vero e proprio teatro dell’orrore, mettendo in ordine una galleria d’immagini in cui realtà e finzione si alternano, rendendo in tal modo l’intera opera più concreta e solida.
La bravura del regista è tutta qui, nel non spezzare l’armonia del film, amalgamando bene i video d’archivio con la parte fittizia. E così tutto si mescola, la realtà con la finzione, la verità con la fantasia. Cosa è vero? Cosa non lo è? A ben guardare, è vero tutto. L’essenza di Olga, la sua anima narrativa. La perdita, la speranza, la solidarietà, la rivoluzione. La voglia di cambiare il proprio destino, la delusione di non essere riusciti a farlo. Il desiderio di risollevarsi più forti di prima, anche se il futuro davanti a sé sembra tutto fuorché roseo.Se Grappe ha deciso di portare sullo schermo la storia di una ginnasta, è perché lo sport è un segmento che può essere paragonato alla politica. È una continua battaglia per emergere, per farsi valere, per avere una propria identità. Per non soccombere ed essere riconosciuti.
Due realtà soggette a manipolazioni, come abbiamo visto anche recentemente nel documentario Il caso Alex Schwazer in merito allo sport, in cui si rischia di perdersi e non ritrovarsi più. Quello del regista è un film politico che cerca di indossare l’abito di un altro genere. Ma alla fine il vestito indossato gli sta stretto, addosso è sgualcito, si creano strappi e così scivola via per mostrare la sua vera natura. Olga non è un coming of age o un racconto dello sport come all’inizio può sembrare, ma la storia di un Paese che è annegato nonostante abbia provato a risalire in superficie fino all’ultimo suo respiro. Che non ha mai smesso di farsi valere e mai lo farà. Olga è la storia di un popolo resiliente, e di una nazione che non ha mai voluto arrendersi.